domenica 9 ottobre 2016

Una organizzazione diversa per l’annuncio della fede alle nuove generazioni

Negli ultimi decenni della Chiesa in Italia, la catechesi “classica” fatta in parrocchia ha suscitato parecchie incognite rispetto ai frutti che avrebbe dovuto portare, insieme a questo ha progressivamente portato alla “esclusione” dei genitori dal compito di educare alla fede i figli, inoltre ha provocato una concentrazione massiccia di energie e forze pastorali nel gestire i vari gruppi, arrivando pian piano ad assumere una impostazione scolastica.
Quello che provo ad accennare è il cambiamento del paradigma usato fino ad ora, non credo di dire niente di nuovo, ma collocarlo in una ottica più ampia guardando allo sviluppo della persona: infanzia, preadolescenza, adolescenza, giovinezza, età adulta.
La proposta da portare avanti, molto scontata, è che il catechismo debba tornare in mano ai genitori, uso il verbo tornare perché così è stato storicamente. Anche quando l’azione cattolica manteneva un ruolo importante nelle comunità, i vari gruppi non si sostituivano al cammino di educazione che veniva data in famiglia, ma ad esso si affiancava insieme anche ad altre associazioni e movimenti presenti nel tessuto ecclesiale (vedi ad esempio gli Scout). Le cose sono poi evolute diversamente e se si è arrivati a una delega dei genitori, è anche perché le modalità della catechesi hanno prestato il fianco a renderlo possibile. Invece di cambiare direzione, come Chiesa abbiamo cercato di supplire a una cosa non sostituibile: l’educazione alla fede è compito dei genitori, se non lo fanno non sono bypassabili in questo loro compito come se niente fosse. Pertanto ora, invece di continuare a provare a rimediare a questa mancanza, occorre riattivarla.
Il nostro compito di comunità cristiana non è assimilabile a quello della scuola, dove i professori sono detentori di un sapere non trasmissibile e non alla portata di tutti, così che è loro compito farsene portatori.
Nella Chiesa non esistono “professionisti” del sacro, né una conoscenza che può essere solo di pochi, il Vangelo è per tutti e alla portata di tutti, se così non è qualcosa non torna nell’organizzazione ecclesiale, correndo il rischio di ripercorrete la strada intrapresa da farisei e scribi così come presentata dalle Scritture.
Questo non vuol essere un giudizio negativo su quanto fatto in passato, i tempi e le persone sono diverse e tante volte in questioni di pastorale occorre anche sperimentare e buttarsi; credo però che ora sia il momento di rivedere le scelte fatte in passato e pensare ai genitori come coloro che fanno nelle proprie case l’iniziazione alla fede dei propri figli.
La comunità rimane, ma con un ruolo diverso, sia nel fornire sussidi che nell’incontrare e organizzare momenti di animazione e verifica dei percorsi fatti, con una distribuzione più capillare sul territorio. In questo modello, la Messa ritorna ad essere il luogo principale nel quale riunirsi dalle proprie case alla chiesa.
Questo cambiamento produce utili conseguenze anche riguardo il futuro cammino dei ragazzi. Ampliando lo sguardo in ottica evolutiva riguardo la crescita della persona, si può pensare che il tutto possa procedere così almeno fino alla preadolescenza e comunque non oltre l’inizio dell’adolescenza, quando le stesse istanze di crescita chiedono che un ragazzo pian piano si separi dal mondo dei genitori alla ricerca di una graduale autonomia.
In concomitanza con questa fase dello sviluppo, la comunità cristiana si affianca in modo nuovo ai compiti dei genitori nell’educazione alla fede, accoglie le nuove ricerche che nascono dentro i ragazzi e offre modalità nuove per continuare il cammino di fede. Gli itinerari di fede trovano così altri luoghi (oratori e strutture parrocchiali), persone (educatori), confronti (il gruppo dei pari).
La parrocchia può offrire questo, così come può agli occhi dei giovani non essere più un luogo dove ci si va da piccoli e per bambini (come succede oggi), ma un luogo per quelli della propria età e per i più grandi. Una comunità di adulti significativi che hanno a cuore il bene degli ultimi arrivati, dove diventa stimolante poter andare.
Il gruppo diventa la realtà che si identifica con la dimensione di Chiesa da loro sperimentata, assume un ruolo centrale per l’elaborazione dei valori di riferimento e nella scelta delle condotte di vita; la Messa in questo momento diventa soggettivamente meno significativa, non è un addio, ma per chi deciderà di dire liberamente il proprio sì, l’occasione di rivalutata in età più adulta.
Anche il gruppo pian piano avrà la sua conclusione, traghetterà verso una progressiva scelta personale per una liberà adesione individuale, per un impegno nel mondo e nel vivere la propria vocazione specifica. Tutto questo insieme ad altre conseguenze che tralascio perché non al centro di questo mio intervento.
Sono consapevole che quanto proposto non risolve assolutamente tutti i problemi, anzi ne apre di nuovi; sono tante anche le obiezioni che potrebbero nascere in questo modello sicuramente da discutere, così come sono tante le questione che nascerebbero nel metterlo in pratica. Eppure mi sento di lanciare in modo deciso la proposta che andrà sicuramente “digerita” realtà per realtà, anche se ritengo che debba essere fatto senza troppi compromessi, sperando che il tutto non ci distragga dall’incipit iniziale, ossia il cambiamento del modello di riferimento della catechesi così come proposto dalle nostre comunità.

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