lunedì 4 aprile 2016

La vita al centro

Gli uomini (…) son spirituali grazie alla partecipazione dello Spirito, ma non grazie alla privazione ed eliminazione della carne (Ireneo, Adv. Haer., V,6,1)
Già in altre parti ho avuto la possibilità di trattare il rapporto tra fede e vita legando il tutto alla dimensione educativa degli adolescenti; credo sia una riflessione talmente importante che merita di essere ripresa.
Il cammino della fede si identifica con quello della vita così scrivevano i vescovi italiani nel 1999 (Educare i giovani alla fede, 27 febbraio 1999). La fede rimane certamente dono di Dio, ma non cresce spontanea; essa passa attraverso e insieme a una crescita che chiama in causa tutte le dimensioni della persona e senza delle quali non può fare a meno. Se semplificando dovessi trovare un solo termine centrale che possa dare la direzione del processo educativo inteso in senso cristiano, userei la parola “vita” perché la possano avere in modo abbondante (cfr. Gv 10,10).
Se quanto detto risulta appropriato, il cammino di crescita nella fede di ogni ragazzo dipende fortemente anche dalla cultura e dai quei valori che una società pone davanti ai propri giovani. Un cammino di fede non può bypassare questa attenzione, diventerebbe altrimenti qualcosa di esterno e una strumentalizzazione della persona, al servizio della quale invece occorre essere.
Allo stesso modo la dimensione evolutiva del ragazzo chiede di essere rispettata, il concetto stesso di maturazione della fede occorre che sia coordinato con quella della propria personalità affinché il tutto possa essere definito come cristiano. Riguardo a questo, credo che la dimensione di fede abbia tanto da dire per aiutare a svelare, portando a pienezza, i tanti movimenti interiori che vivono nell’intimo dei nostri ragazzi. Aggiungo anche, sperando di non essere frainteso, che Gesù non è un di più che colora in una qualche maniera la propria vita, non è una scelta fra le tante capace di dare senso alla vita, è colui che fa nuova la nostra umanità, rendendo bella e vera.
L’opera educativa chiede quindi di essere accompagnata da una grossa attenzione antropologica, così la pastorale ha da sviluppare una propria pedagogia a servizio dei ragazzi e degli educatori che vi si pongono accanto. Evangelizzare i giovani chiede una scelta educativa coerente.
Occorre quindi che come educatori cristiani, integriamo nei nostri cammini, sapendoli valorizzare, tutti quei valori legati alla crescita umana dei ragazzi; non ci sono quindi due vie parallele da percorrere (sociale o di fede), non ci sono dei valori distinti in contrapposizione (umani o divini), non viene uno prima dell'altro. Pur essendo di per sé operazioni distinguibili fra di loro, operano sul tutto della persona. Questo discorso non trova il suo fondamento in una istanza pedagogica, si tratta di una questione teologica.
Questo approccio risulta determinate per evitare l’allottamento dei ragazzi, capita infatti troppe volte che questo avvenga perché percepiscono come lontano da sé quello che viene loro proposto. Inoltre è anche illuminante per un mondo che ormai si limita prendersi cura del corpo e della psiche, ma dimenticandosi di come, in un contesto personale unitario, anche la fede abbia il suo diritto di esistenza all’interno del processo educativo.
Occorre pertanto aiutare i nostri adolescenti a uscire da un auto centramento esclusivo, aprendosi al soprannaturale passando attraverso l’incontro con gli altri e con la creazione che molto ci parla di un progetto che va oltre noi. In sintesi, si tratta di far sì che gli incontri quotidiani assumano un sapore nuovo, in quanto capaci di parlare del mio incontro con Dio, essi ci parlano di lui.
Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: "Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?". Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: "Mosè, Mosè!". Rispose: "Eccomi!". Riprese: "Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!". E disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe". Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. (Es 3,1-6)
Mosè, si trova nel deserto a fare quello che fa tutti i giorni, pascolare il gregge di suo suocero, è il suo lavoro; si è sposato, ha trovato un nuovo luogo dove abitare dopo la sua fuga dall’Egitto, sembra che ora vada tutto bene.
Proprio durante una giornata che si presentava come tante altre, si accorge che c’è qualcosa di nuovo, di strano. Anche se può capitare nel deserto di vedere cose particolari, una cosa a un certo punto lo incuriosisce, si avvicina e comincia a chiedersi il “perché” di quanto sta accadendo questo lo muove nella direzione giusta.
Sta però sbagliando qualcosa, è ancora troppo orientato a sé, non si rende conto che quanto accade chiama in causa ben altre realtà. Interviene Dio che lo invita a togliersi i sandali, perché quel luogo non è come tutti gli altri, quel suolo non è come quello del giardino di casa sua. Gli viene chiesto di entrare in un rapporto nuovo con quanto lo circonda, altrimenti corre il rischio di non afferrare quanto c’è in gioco.
Dalla domanda riguardo al cosa stia accadendo, si passa al “chi” si sta manifestando. Dall’oggetto si passa al soggetto, la relazione con le cose ci porta a incontrare colui che ne è il creatore. Nella storia di Mosè si compie questo cammino, così Dio comincia a parlargli e lui comprende queste parole.

Così anche nella vita di ogni ragazzi si compie l’incontro con il Signore della vita, proprio lì dove essa smette di essere fatta solo di una serie di avvenimenti uno in fila all’altro, per diventare un cammino di amore in crescita.

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