Ho incontrato una amica religiosa che fa parte di un
istituto nato per prendersi cura degli orfani, mi raccontava di come ormai le
loro attività fossero quasi esclusivamente rivolte ai paesi di missione. Oggi
in Italia, per fortuna, questo fenomeno è enormemente diminuito rispetto al
passato, inoltre la nostra legislazione porta avanti più progetti su singoli o
piccoli gruppetti, che non strutture quali gli “orfanotrofi” di una volta.
In altre parti mi è già capitato di parlare del fatto che
stando in oratorio, sono stato spinto a riflettere su un nuovo tipo di orfani:
ragazzi che hanno genitori, ma vivono una vita abbandonata a se stessi. Si
trovano così a gestire in proprio, fin da piccoli, tante cose: tempo, soldi,
cibo, compiti; senza vere figure adulte di riferimento, crescendo così poveri
dal punto di vista relazionale e indicazioni concrete su come si fa a diventare
grandi.
Anche papa Francesco di recente ha parlato di questo tema
durante uno dei suoi discorsi[1]
definendolo con il termine di “orfanezza” (dallo spagnolo “orfandad”).
Sottolinea come i giovani di oggi vivano questo disagio perché non hanno
maestri che mostrino loro un indirizzo sicuro di vita, così rimangono vuoti di
ideali che possano animare e rendere calda la vita, fanno così molta fatica a
portare avanti le difficoltà di ogni giorno. Nonostante questo, dentro di loro,
rimane presente, anche se come assenza, la ricerca di tutto ciò.
Mancano di gratuità, quella che viene da chi sa perdere
tempo per loro, per stare insieme, per giocare, per aspettarli, per rompere un
po’ le scatole. Questo incide molto sulla loro capacità di donarsi a propria
volta e di riconoscere di esserne destinatari da parte di un Dio della sua
Grazia che è qualcosa di totalmente gratis che non si può comprare da nessuna
parte: Dio stesso.
Di fronte questo, troviamo in Gesù una soluzione alle
tensioni che posso nascere. Non vi lascerò orfani: verrò da voi (Gv
14,18), lo fa presentandosi come maestro che insegna una via, dando la vita
sulla croce, ci ricorda che abbiamo un Padre. Lo ritengo un bell’annuncio per i
tanti giovani di oggi, insieme a quelli che ricordavo sopra, lo penso anche per
i tanti che non trovano un lavoro sentendo così di valere poco.
Tutto questo diventa un incoraggiamento anche per noi
adulti, troppe volte diciamo un po’ alla leggera di amare i nostri ragazz,i
senza renderci adeguatamente conto di quanto questo comporta. Così capita che
alla gratuità opponiamo ricatti affettivi mettendo delle condizioni al nostro
amore, o ricordando loro quando abbiamo dovuto fare così che si sentano in
debito. Mentre i giovani cercano semplicemente qualcuno al quale poter andare
bene così come sì è, anche sgangherati, senza che venga chiesto di cambiare
prima di poter voler loro bene. Mi capita così di incontrare adolescenti che
non vanno bene a nessuno, così divento triste quanto scopro che cominciano a
farsi da soli del male tagliandosi o non mangiando, perché proprio quel loro corpo
è vissuto come non capace di essere amabile.
Ma anche in questi momenti mi viene da ricordare loro che
non sono orfani, che c’è un Dio che si preoccupa di loro, perché li ama, e che
occorre mettersi alla ricerca. Anche nella Chiesa, nelle nostre comunità,
devono poter sapere di avere una Madre che si occupa di loro quando ne avranno
bisogno. Occorre quindi attrezzarsi e diventare consapevoli di questa vocazione,
che nasce dalle contingenze del momento presente con l’incontro di tanti
giovani che stanno cercando.
Per far questo occorre riscoprire la dimensione
dell’accoglienza; non è possibile che quando vengono da noi giovani “orfani” o
comunque in difficoltà, apriamo loro le porte per poi sgridarli perché non
sanno adeguarsi a un modo di vivere che forse solo per noi è scontato, così è come se dicessimo che devono pagare
qualcosa per poter essere accolti. Così non si sentiranno mai a casa.
Dobbiamo ripensare
quanto le nostre parrocchie sono accoglienti, se gli orari delle attività
favoriscono la partecipazione dei giovani, se siamo capaci di parlare i loro
linguaggi, di cogliere anche negli altri ambienti (come ad esempio nello sport,
nelle nuove tecnologie) le possibilità per annunciare il Vangelo. Diventiamo
audaci nell’esplorare nuove modalità con cui le nostre comunità siano delle
case dove la porta è sempre aperta. La porta aperta! Ma è importante che
all’accoglienza segua una chiara proposta di fede; una proposta di fede tante
volte non esplicita, ma con l’atteggiamento, con la testimonianza: in questa
istituzione che si chiama Chiesa, in questa istituzione che si chiama
parrocchia si respira un’aria di fede, perché si crede nel Signore Gesù[2].
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