lunedì 22 febbraio 2016

Non sono scarti della società

Ho partecipato a un convegno di pastorale giovanile sugli oratori, al quale è intervenuta una esponente politica del nostro paese, a lei veniva chiesto di presentarci la situazione giovanile in Italia. Lo ha fatto partendo da tanti dati statistici, sicuramente tutti giusti, ma che si sono limitati a mostrare la situazione di difficoltà vissuta da questa fascia di età: delinquenza, analfabetismo, stato di povertà, abbandono scolastico e varie altre situazioni di marginalità. Del tutto assente nella sua riflessione è stata la testimonianza di dati o una riflessione intorno all'energia e all'impegno vissuto dalle giovani generazioni. Non mi ritengo uno sprovveduto, ma la mia esperienza di oratorio accanto a ragazzi un po' di tutti i tipi, mi porta a non ritrovarmi in una analisi che giudico parziale e fuorviante. Senza chiudere gli occhi sulle situazioni di difficoltà vissute dalle giovani generazioni, speravo che si riuscisse a prendere le distanze da un modo di fare abituale che tratta in modo ambiguo di questi temi, facendone luogo di tensioni o di cattivi presagi, senza mostrarne le potenzialità spesso espresse e tante altre volte poco utilizzate; troppo spesso trattando i giovani come destinatari di interventi invece che essere considerati soggetti di forza.
Ero disposto a passar oltre, tutto questo continuava a confermare il fatto che, come adulti, facciamo proprio fatica a farci una immagine precisa dell'orizzonte giovanile. Poi accadde una grande ingenuità da parte della relatrice, mentre parlava dei tanti giovani che vivono situazioni difficili senza trovare risposte o aiuti nelle loro ricerche, uscì con una espressione infelice definendoli come “scarti della società”, in particolare stava facendo riferimento ai tanti che accogliamo negli oratori in attività volte a sostenerli nella loro vita. Riconosco la sicura buona fede nel discorso che stava facendo, ma occorre che stiamo attenti al linguaggio che usiamo quando tra adulti parliamo dei più giovani. Mi sono chiesto cosa avrebbero pensato i tanti ragazzi in difficoltà che conosco, se fossero stati presenti in quel momento all'incontro sentendosi definire così, cosa avrebbero provato; questa cosa mi ha fatto soffrire. Ho passato diversi anni in oratorio, ho in mente volti, storie, gioie e anche dolori, nessuno di essi è uno scarto e mi trovo arrabbiato nei confronti di un mondo ignorante che li tratta in questo modo non rendendosi conto di quanto perda.
Il convegno nel frattempo è proseguito e la parola è passata a un altro relatore, sacerdote, che grazie al servizio che svolge ha uno sguardo sull'andamento giovanile nazionale e più specificamente su quelle strutture e attività che in ambito cattolico si occupano di loro.
Qualcuno potrebbe pensare che sia un po' di parte visto il mio essere prete, ma ho colto da subito nelle sue parole una prospettiva molto diversa rispetto a come il convegno era iniziato. Nel presentarsi ha posto attenzione su come il suo essere lì dipendesse anche dal grazie che doveva ai giovani che aveva incontrato, che non erano stati solo destinatari del suo impegno, ma di essere stato aiutato da coloro che aveva servito.
Ho colto la sua esperienza come di chi aveva incontrato tante storie diverse in ciascun ragazzo, non tutte belle, tante difficili, ma di tutte parlava con amore come se in ognuna ci fosse qualcosa di prezioso da scoprire; proprio una logica che si oppone a quella dello scarto.
Forse la differenza è stato anche il passare dal parlare di dati aggregati, al trattare di storie vere, pensando a nomi, volti, come capita a chi di giovani si occupa stando sul campo, in incontri che ti fanno capire che ne vale davvero la pena di andare avanti.
In tutto questo, il nostro secondo relatore, riuscì anche a integrare all'analisi sociologica con la quale il convegno era iniziato, uno sguardo di speranza che invita a darsi da fare e che individua proprio negli oratori il luogo dove tante tensioni inizialmente aperte possono trovare un loro cammino di accompagnamento. Questo è possibile perché non nasce come progetto per affrontare una emergenza specifica, ma luogo dove come educatori ci si ritrova per riconoscere quanto si è ricevuto e rimetterlo in circolazione. Un po' come un cuore che attiva una doppia circolazione, che esce dai processi a senso unico che spesso caratterizzano gli interventi sociali messi in campo in ambito civile. Un oratorio che sta lì come risorsa anche per quanti non ne hanno immediatamente bisogno, o scelgono di non servirsene, perché in ambito giovanile è importante esserci; simili così a quei genitori spesso contestati, ma che rimangono e ci saranno quando di loro ci sarà bisogno.
L'oratorio diventa così una casa che ci sarà sempre per chi busserà e che vedrà nel ragazzo non solo il problema che si può portare dietro, ma soprattutto la risorsa che potrà essere.

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