Ho
partecipato a un convegno di pastorale giovanile sugli oratori, al quale è
intervenuta una esponente politica del nostro paese, a lei veniva chiesto di
presentarci la situazione giovanile in Italia. Lo ha fatto partendo da tanti dati
statistici, sicuramente tutti giusti, ma che si sono limitati a mostrare la
situazione di difficoltà vissuta da questa fascia di età: delinquenza,
analfabetismo, stato di povertà, abbandono scolastico e varie altre situazioni
di marginalità. Del tutto assente nella sua riflessione è stata la
testimonianza di dati o una riflessione intorno all'energia e all'impegno vissuto
dalle giovani generazioni. Non mi ritengo uno sprovveduto, ma la mia esperienza
di oratorio accanto a ragazzi un po' di tutti i tipi, mi porta a non ritrovarmi
in una analisi che giudico parziale e fuorviante. Senza chiudere gli occhi sulle
situazioni di difficoltà vissute dalle giovani generazioni, speravo che si
riuscisse a prendere le distanze da un modo di fare abituale che tratta in modo
ambiguo di questi temi, facendone luogo di tensioni o di cattivi presagi, senza
mostrarne le potenzialità spesso espresse e tante altre volte poco utilizzate;
troppo spesso trattando i giovani come destinatari di interventi invece che
essere considerati soggetti di forza.
Ero
disposto a passar oltre, tutto questo continuava a confermare il fatto che,
come adulti, facciamo proprio fatica a farci una immagine precisa
dell'orizzonte giovanile. Poi accadde una grande ingenuità da parte della
relatrice, mentre parlava dei tanti giovani che vivono situazioni difficili
senza trovare risposte o aiuti nelle loro ricerche, uscì con una espressione
infelice definendoli come “scarti della società”, in particolare stava facendo
riferimento ai tanti che accogliamo negli oratori in attività volte a
sostenerli nella loro vita. Riconosco la sicura buona fede nel discorso che stava
facendo, ma occorre che stiamo attenti al linguaggio che usiamo quando tra
adulti parliamo dei più giovani. Mi sono chiesto cosa avrebbero pensato i tanti
ragazzi in difficoltà che conosco, se fossero stati presenti in quel momento
all'incontro sentendosi definire così, cosa avrebbero provato; questa cosa mi
ha fatto soffrire. Ho passato diversi anni in oratorio, ho in mente volti,
storie, gioie e anche dolori, nessuno di essi è uno scarto e mi trovo
arrabbiato nei confronti di un mondo ignorante che li tratta in questo modo non
rendendosi conto di quanto perda.
Il
convegno nel frattempo è proseguito e la parola è passata a un altro relatore,
sacerdote, che grazie al servizio che svolge ha uno sguardo sull'andamento
giovanile nazionale e più specificamente su quelle strutture e attività che in
ambito cattolico si occupano di loro.
Qualcuno
potrebbe pensare che sia un po' di parte visto il mio essere prete, ma ho colto
da subito nelle sue parole una prospettiva molto diversa rispetto a come il
convegno era iniziato. Nel presentarsi ha posto attenzione su come il suo
essere lì dipendesse anche dal grazie che doveva ai giovani che aveva
incontrato, che non erano stati solo destinatari del suo impegno, ma di essere
stato aiutato da coloro che aveva servito.
Ho
colto la sua esperienza come di chi aveva incontrato tante storie diverse in
ciascun ragazzo, non tutte belle, tante difficili, ma di tutte parlava con
amore come se in ognuna ci fosse qualcosa di prezioso da scoprire; proprio una
logica che si oppone a quella dello scarto.
Forse
la differenza è stato anche il passare dal parlare di dati aggregati, al
trattare di storie vere, pensando a nomi, volti, come capita a chi di giovani
si occupa stando sul campo, in incontri che ti fanno capire che ne vale davvero
la pena di andare avanti.
In
tutto questo, il nostro secondo relatore, riuscì anche a integrare all'analisi
sociologica con la quale il convegno era iniziato, uno sguardo di speranza che
invita a darsi da fare e che individua proprio negli oratori il luogo dove
tante tensioni inizialmente aperte possono trovare un loro cammino di
accompagnamento. Questo è possibile perché non nasce come progetto per affrontare
una emergenza specifica, ma luogo dove come educatori ci si ritrova per
riconoscere quanto si è ricevuto e rimetterlo in circolazione. Un po' come un
cuore che attiva una doppia circolazione, che esce dai processi a senso unico
che spesso caratterizzano gli interventi sociali messi in campo in ambito
civile. Un oratorio che sta lì come risorsa anche per quanti non ne hanno
immediatamente bisogno, o scelgono di non servirsene, perché in ambito giovanile
è importante esserci; simili così a quei genitori spesso contestati, ma che
rimangono e ci saranno quando di loro ci sarà bisogno.
L'oratorio
diventa così una casa che ci sarà sempre per chi busserà e che vedrà nel
ragazzo non solo il problema che si può portare dietro, ma soprattutto la
risorsa che potrà essere.
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