Il vescovo mi ha mandato a servire quattro nuove parrocchie,
tra i tanti incontri avuti, mi ha colpito un leitmotiv comune trovato sulla
bocca di genitori, educatori e capi scout: fatta la Cresima se ne vanno, dove
sbagliamo, cosa possiamo fare?
Qualcuno entusiasticamente esclamava: dobbiamo tenerceli
stretti a tutti i costi. Altri progettavano attività varie e sperano che il
prete nuovo appena arrivato suggerisca la soluzione al tutto.
Rispondendo sinteticamente mi verrebbe da dire: non è detto
che sbagliamo, possiamo fare ancora tanto e forse tenerli stretti serve solo a
farli uscire prima, fare delle attività è giusto ma che siano pensate, io non
ho nessuna soluzione in tasca così le cercheremo insieme anche se so che spesso
occorre andare anche per tentativi con la disponibilità a riconoscere
eventualmente anche di essersi sbagliati e tornare indietro.
Capisco il buon cuore che anima i tanti educatori che si
interrogano in questo modo, eppure ho chiesto loro la fatica di cambiare
ottica, per evitare di prendere abbagli, occorre rieducare il modo con il quale
guardiamo ai ragazzi.
È impossibile fare un bilancio sulla vita di un giovane
valutando un singolo evento, la sua vita è in continuo cambiamento, piena di
successi e anche di errori, di tentativi e soste. Non solo noi, ma anche loro
ancora non sanno bene come andranno le cose, esse si costruiranno pian piano
grazie a scelte che sono tappe di un percorso.
Quando capita che tanti lasciano alla fine del cammino di
catechesi, non bisogna far dire a questa scelta di più di quello che afferma,
ossia che adesso preferiscono stare da un'altra parte; la questione dal nostro
punto di vista dovrebbe poi porsi non nel perché non partecipano a quanto
organizziamo per loro, ma piuttosto perché siamo assenti nei luoghi scelti e
frequentati dai ragazzi; questo porta con sé una grossa tentazione che pongo
come domanda: intendiamo il cammino di educazione solo quello fatto tra le
nostro mura e alle nostre regole, o è da valutare in un'ottica più ampia?
In ogni caso, sia che i ragazzi rimangano sia che vadano
altrove, questo non dice nulla sulla loro bontà o cattiveria, neanche segna un
allontanamento definitivo dalla comunità, così come non li classifica come
ragazzi senza fede. Non dico parole a caso, sono la sintesi di alcuni confronti
avuti con genitori ed educatori, parlando dei loro ragazzi che avevano fatto
scelte diverse da quelle che ci si aspettava da loro. Occorre non fare di un
comportamento o di una scelta puntuale, il criterio di giudizio di un giovane.
Il cammino di crescita che sta compiendo prevede spesso cambiamenti e anche
errori poi corretti, inoltre per noi educatori alla fede si tratta di far
nostro l’atteggiamento di Gesù che non è impostato sul giudicare, ma
sull’offrire opportunità di vita nuova trovandoci sempre pronti
all'accoglienza.
Non consideratemi sprovveduto del tutto, so per esperienza
concreta che c’è chi non sceglierà più di tornare, la questione è che adesso i
loro nomi ancora non posso saperli, pertanto non posso usare questa
constatazione concreta come sostegno per perdere fiducia in alcuni o mollarci.
Inoltre visto che ci poniamo in un'ottica di fede, giusto per ricordacelo ogni
tanto, ricordiamoci che c’è anche Dio, che ha vie impensate e provvidenziali
per tutti, che sa pronunciare il nome di ciascuno richiamandolo a vita nuova,
al di là e oltre i nostri progetti; così può essere utile ricordare che non ci
siamo solo noi, ma c'è una Chiesa fatta di esperienze, modalità e spiritualità
ben più ampie delle nostre.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci
lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: "Gesù,
maestro, abbi pietà di noi!". Appena li vide, Gesù disse loro:
"Andate a presentarvi ai sacerdoti". E mentre essi andavano, furono
purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran
voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un
Samaritano. Ma Gesù osservò: "Non ne sono stati purificati dieci? E gli
altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere
gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?". E gli disse: "Alzati
e va; la tua fede ti ha salvato!" (Lc 17, 12-19).
Capita a Gesù di incontrare tanta gente che ha bisogno, si
prende cura di tanti, li ascolta, li libera, impiega tempo, interrompe il suo
cammino per mettersi in ascolto. Quando ognuno ha avuto quello che voleva, su
dieci ne torna indietro uno. Non può essere interpretata in modo parabolico
anche come la constatazione di quanto capita ai cammini dei ragazzi?
Abbiamo ancora tante famiglie che mandano i loro figli al
catechismo parrocchiale, che cercano i sacramenti; raggiunta la cosa nove su
dieci non si vedo più. Chi rimane lo fa per tanti motivi, molti dei quali sono
da maturare nelle loro motivi. È certo però che a lungo andare chi torna è come
nel Vangelo solo quello che si "vede guarito", che si rende conto del
dono ricevuto. Torna chi viene aiutato a riprendere in mano la propria vita,
così da rendersi conto di quanto in lui si compie durante e al di sotto di
quanto gli capita. La sorpresa grande è che solo il Samaritano, il nemico,
l’antipatico, lo scontroso, quello sul quale nessuno avrebbe mai scommesso,
proprio lui è quello che torna.
Concludo con un assurdo posto come provocazione. Volendo
dare ragione a quei profeti di sventura, che predicano la crisi del mondo
giovanile e l’allontanamento dai valori della fede, proviamo ad accettare pure
che i giovani si siano allontanati da Dio e dalla Chiesa, cosa sulla quale
mantengo riserve. Pongo un interrogativo che lascio in sospeso: i giovani si
sono allontanati dalla Chiesa perché si sono allontanati da Dio o si sono
allontanati da Dio perché si sono allontanati dalla Chiesa? La risposta sarà
utile per sapere quale sia il tasto critico su cui lavorare: Dio o la Chiesa?
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