Terzo articolo che ci aiuta ad entrare nel mondo complesso ed entusiasmante della "bellezza" così come sperimentata dai nostri ragazzi, quindi anche dal rapporto con il proprio corpo che non è affatto formato da solo materia, ma che si porta dietro diversi significati e valori.
Come abbiamo
già avuto occasione di dire, per i ragazzi l’essere fatti in un certo modo, con
un corpo che appare così come è, possiede dei significati che vanno ben oltre
quello che si vede. Conosco adolescenti che si guardano dal di fuori senza
riconoscersi, cercano di recuperare questa unità che esiste tra corpo, mente e
anima, lanciando vere sfide; c’è chi arriva anche a farsi del male, a
intavolare una vera guerra con questo qualcosa che prima era me e ora non
riconosco più, che non è un problema solo estetico, ma anche legato ai valori e
al mio rapporto con Dio.
Mi capita
spesso di essere compagno di viaggio per anni della vita di tanti ragazzi,
sempre mi interesso dei tanti cambiamenti che vedo comparire nei vestiti e sul
corpo, non per una curiosità fine a se stessa, ma perché queste cose parlano.
Tutto questo aiuta a dar voce, a rendere comunicabile, la ricerca e a volte il
dolore che sta dietro. Facendo questo mi sono spesso trovato capace di
comprendere tanti gesti che di per sé potevano sembrare insensati se non
“pazzi”, che invece ritrovavano in questa trasformazione in parole
l’espressione comprensibile del loro senso.
Se non siamo
noi adulti a fermarci a chiedere questa trasformazione in parole, chi lo farà
per noi e per loro? Nessuno. Vi chiedo un anticipo di fiducia in quanto dico e
per i ragazzi: credetemi, sono realmente alla ricerca di persone capaci di
capirli e aiutarli, mentre troppe volte trovano chi si limita a giudicarli o improvvisando
propone cose lontane dalla loro reale ricerca. È importante che lo sappiano non
solo perché lo diciamo a parole, ma che percepiscano che certe cose con noi si
posso dire, che non è necessario come succede con altri di doverle
rappresentare e comunicare in altri modi, che siamo disposti a prenderli sul
serio per quello che pensano e cercano, e non solo per quello che
immediatamente possiamo cogliere. Tutto questo non ha il solo fine di far sentire
il giovane accolto, ma dà la possibilità al giovane di riprendere in mano
quanto deciso e poterlo così rivedere. Dietro a certi comportamenti denominati
come “a rischio”, ci sono profonde ricerche ricche di ideali e principi; solo
compiendo il cammino sopra indicato possiamo creare una relazione capace di
mantenere la ricerca buona che anima il ragazzo e allo stesso tempo dargli
l’opportunità di rivedere comportamenti che possono averla espressa in modo
errato.
A fronte di
tutto questo emerge una ulteriore responsabilità alla quale siamo chiamati come
educatori adulti. Credo di non fare una analisi approssimativa nel dire che,
mentre nel passato al centro si trovavano determinati valori condivisi e
accettati (a volte forzatamente), oggi la cosa che emerge è una maggiore
centralità dell’apparenza sulla sostanza. I nostri ragazzi pur vivendoci dentro
e portandone avanti le conseguenze, non ne sono i creatori, non è colpa loro;
loro la vivono, a noi il compito di fare quello che a loro toccherà quando
saranno cresciuti, far sì che le cose possano cambiare, verso un mondo dove ci
sia posto, accoglienza e possano sentirsi a casa anche tutti coloro che non
desiderano trasformare la propria vita secondo certi modi di apparire.
Nel frattempo
cosa fare? Fortunatamente non tutto il nostro mondo ha subito il cambiamento
radicale appena descritto, ci sono ancora gruppi e comunità, spesso marginali,
nelle quali ancora si vive la solidarietà e il servizio nei confronti dei
bisognosi, dove si cresce nell’amore per il fratello anche se in difficoltà, così
si impara quell’empatia che può essere la cura di quanto fin qui scritto. Molti
di questi luoghi si trovano all’interno della grande casa della Chiesa, così
come vive concretamente l’esercizio della Carità nelle sue vari forme.
Al riguardo
credo utile lasciarci guidare da quanto scrive san Paolo nella sua lettera ai
Romani, è uno di quei testi che pur scritti secoli fa, può guidare verso quella
conversione che da sempre fa grande l’uomo.
Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di
Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è
questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma
lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter
discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. (Rm
12,1-2)
La bellezza
di questo brano, è che chiama in causa da subito il desiderio di Dio che ci
vuole chiamare partendo dal nostro corpo, esso può diventare luogo per
sperimentare la misericordia di Dio, così diventa via di riconciliazione con sé
e con gli altri; credo che questa possa essere una bella notizia per tanti
giovani.
Il termine
greco usato da san Paolo per dire copro è “soma”, espressione che dice
di qualcosa che si vede e si tocca, è proprio il corpo del quale parlavamo fin
dall’inizio, quello mostrato, abbellito o attaccato dai nostri ragazzi. Attraverso
di esso si può avere cura del proprio rapporto con Dio, il tutto quindi non si
esaurisce in qualcosa di puramente estetico, ma abbraccia tutte e dimensioni
del nostro esistere. Al termine “culto” viene affiancato quello di
“spirituale”, questo non vuole dire qualcosa di astratto o immaginario, infatti
l’offerta dei nostri corpi è resa dal verbo latino “exibeare”, che ci parla di
un vero è proprio mostrare, un copro in mostra capace di essere luogo di
incontro e via per Dio, e lo si dice di questo mio corpo imperfetto, ferito,
limitato; esso è capace di Dio.
Perché ciò
avvenga è necessario non adeguarsi alla mentalità di oggi, non ne siamo infatti
servi obbligati; occorre un mutamento nel modo di pensare. Occorre aprire
esperienze e opportunità di incontro e servizio nelle quale i giovani si
sentano liberi di vivere in modo diverso, alternativo.
Allora cosa
faccio? Metto a disposizione il mio corpo, così com'è, sano o malato, vecchio o
giovane; tutto diventa opportunità. Oggi in tanti campi si parla di
sostenibilità, credo che l'unica etica sopportabile e supportabile sia quella
della carità.
La carità non sia ipocrita: detestate il male,
attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate
nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nel fare il bene, siate invece
ferventi nello spirito; servite il Signore. Siate lieti nella speranza,
costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera. Condividete le
necessità dei santi; siate premurosi nell'ospitalità. Benedite coloro che vi
perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella
gioia; piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti
gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto
a ciò che è umile. Non stimatevi sapienti da voi stessi. (Rm 12, 9-16)
Non siamo
perfetti; corpo, mente e cuore ci mostrano ogni giorno anche la fatica del
vivere, eppure pur riconoscendo che in tante cose manchiamo, l’annuncio bello è
quello di una strada di salvezza pensata per tutti e praticabile.
San Paolo non
arriva a dettare singoli comportamenti specifici, che rischierebbero di farci
cadere in un nuovo moralismo, ci indica però un via pedagogica che passa
attraverso una ri-alfabetizzazione a certi valori. È di fatto un agire in un certo
senso “irrazionale” rispetto alla ragione delle sapienze del mondo, pensate
anche solo all’invito fatto di rispondere benedicendo a chi ci fa del male!
Eppure credo che possa passare veramente da qua, per i nostri ragazzi, il
riappropriarsi di una vita vissuta con al centro quei valori che nobilitano la
persona.
Un amore
capace di unire e di essere un nuovo collante sociale non solo con chi mi trovo
a mio agio, ma con tutti; che sa assumere la condizione dell’altro, e quindi a
gioire con chi gioisce e a piangere con chi piange.
La carità vissuta così, senza ipocrisia, fa si
che ci sia comunione profonda, che supera ogni differenza.
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