I miei studi di diritto mi hanno insegnato che una persona
in quanto tale è titolare di diritti e doveri, studiando ho scoperto che anche
altre attività, economiche e non solo, acquistano un essere “persona” in senso
giuridico, ciò permette loro di non muoversi come semplici singoli, ma di far
nascere una nuova realtà che possa essere anch’essa titolare di diritti e di
doveri, quindi essere riconosciuta come esistente a tutti gli effetti con una
propria personalità giuridica.
La mia esperienza accanto ai ragazzi mi ha insegnato che
ogni persona ha una propria storia di vita, merita di essere incontrata e
conosciuta, occorre coinvolgerla ascoltando la sua opinione riguardo le cose
che la riguardano o altro che la interessi. In questi anni, stando alla scuola
dei ragazzi (che sono attimi maestri se li si sa ascoltare) ho piacevolmente
scoperto che non solo i singoli meritano questa attenzione, occorre impegno e
coinvolgimento anche per le realtà che contribuiscono a formare con la loro
presenza. Un gruppo infatti non è solo la somma dei propri membri, ma è la
nascita di una realtà che ha una propria personalità, un pensiero, uno stile e molto
altro; insomma ha una sua personalità.
All’inizio del nuovo anno pastorale, arrivato in una nuova
realtà di parrocchie che camminano insieme, incontrando gli educatori, ci siamo
messi a parlare dei ragazzi, dei vari cammini, delle forze a disposizione. Ho
deciso, vista la situazione, di procedere ad unire due gruppi; i numeri lo
permettevano, erano venuti a mancare gli educatori di uno dei due, avevano fato
l’esperienza estiva insieme. Tutto sembrava semplice e lineare, noi adulti
eravamo d’accordo e ci sembrava di aver fatto un buon lavoro; mancava però una
cosa e lo scoprimmo presto proprio grazie ai ragazzi. C’eravamo infatti
dimenticati qualcuno.
Nel nuovo gruppo nato dalla fusione fatta, dopo i primi
incontri insieme, nacque una questione che divenne un problema. Il gruppo
storico e più numeroso accolse sì i “nuovi”, ma si sentì un po’ invaso, come se
fosse cambiato qualcosa, sentivano di non essere più quelli di prima, di far
fatica a parlare delle proprie cose, qualcuno perse anche motivazione per
andare avanti. Tutte cose del resto comprensibili, di fatto quello che stava
accadendo era la nascita di un gruppo nuovo, non tanto l’aggiunta di alcuni ad
altri che già camminavano, ma la nascita di una novità. Tutte le cose nuove un
po’ spiazzano, ero quindi contento che queste cose fossero uscite anche in
maniera problematica e che avessero fatto discutere, non erano un vero problema
ma l’occasione per parlarne e crescere.
Insieme a tutto questo, imparai però anche una lezione
importante che venne dai ragazzi quando fu il momento nel quel ci trovammo per
affrontare la questione. Lorenzo a nome del gruppo storico, ammise le fatiche,
ma anche la grande disponibilità ad accogliere i nuovi arrivati, allontanò ogni
dubbio che il tutto fosse nato da un desiderio di chiusura o di non
accettazione. Fece invece emergere la grande mancanza avvenuta: nessuno ne
aveva parlato prima con loro, nessuno aveva pensato non tanto di chiedere il
permesso ma almeno di tastare l’opinione dei ragazzi coinvolti, essi infatti camminando
già da tempo insieme formavano un gruppo con una propria personalità che
chiedeva di essere considerata adeguatamente.
Riconobbi davanti a loro che questo non era stato fatto e ne
chiesi scusa; Tommaso aveva ragione, tante volte noi adulti bypassiamo troppo
velocemente il coinvolgimento non solo dei singoli, ma anche la forza che può
venire dal gruppo, così come non sempre riusciamo a comprendere come un
adolescente possa sentirsi in certe situazioni che noi valutiamo da un pinto di
vista di adulti. Dico grazie a questi ragazzi per la lezione, mi riprometto
andando avanti di non considerare solo i singoli, ma anche il cammino di gruppo
ed esso stesso come realtà con la quale relazionarmi.
È stato bello toccare con mano l’esistenza di una unità fra
di loro che chiedeva di essere riconosciuta, mi ha fatto pensare alle prime
comunità cristiane.
Il corpo non è formato
da un membro solo, ma da molte membra. Se il piede dicesse: "Poiché non
sono mano, non appartengo al corpo", non per questo non farebbe parte del
corpo. E se l'orecchio dicesse: "Poiché non sono occhio, non appartengo al
corpo", non per questo non farebbe parte del corpo. Se tutto il corpo
fosse occhio, dove sarebbe l'udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe
l'odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto,
come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo?
Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l'occhio dire alla
mano: "Non ho bisogno di te"; oppure la testa ai piedi: "Non ho
bisogno di voi". ... Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a
ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie
membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le
membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono
con lui (1Cor 12, 14-21.25-26).
Questa Parola ci invita a una conversione nel nostro
approccio con i ragazzi quando li incontriamo riuniti in gruppo; esso non
risulta solo dall’unione di tanti membri autonomi, non sono presenti solo le
singole specificità. Esse, in un processo a lungo curato e centrato sulle
relazioni, hanno formato un unico corpo, ad esso si sentono di appartenere.
Ogni parte non può fare a meno dell’altra, succede anche che le sofferenze e le
gioie di una parte, vengano sperimentate come proprie anche dagli altri, questo
grazie al sentirsi uno, allo sperimentarsi come corpo dotato di una propria
personalità. Essa diventa quindi una realtà vitale e non accessoria, capace di
esprimersi, di pensare, di amare, di scegliere. Merita pertanto la nostra
attenzione educativa nel prenderci in carico il dialogo con questa realtà del
gruppo-corpo.
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