domenica 23 agosto 2015

Ritratto dell’adolescente italiano di oggi - 2

Gli adolescenti di oggi, dediti al culto del proprio sé, pensano di doversi dedicare allo sviluppo della loro bellezza, non solo fisica, ma psichica, sociale, espressiva, come una missione che ha diritto di precedenza su tutte le altre.
In quanto molto concentrati su di sé, è difficile inserire nella loro vita novità percepite come esterne o estranee al proprio cammino  di sviluppo; anche parlando di cammino di fede la questione è rilevante in quanto essa può essere attraente e trovare spazio nel momento in cui acquisisca una qualche valenza centrale per il proprio sviluppo, altrimenti tante altre cose avranno precedenza su di essa. Lo fanno senza malizia e senza pregiudizi, semplicemente non capiscono come la dimensione della fede possa servire alla propria crescita. In questo come comunità dobbiamo sentirci molto provocatiti, dando per scontato che essa abbia qualcosa da dire alla ricerca di bellezza di ogni uomo, la questione diventa allora la nostra difficoltà a dare ragione della fede che è in noi e nel renderla significativa. Cerchiamo di farlo, invece di rimanere fermi a lamentarci e chiederci perché sempre più giovani lasciano la vita delle nostre comunità.
Guardate ai risvolti, ai capelli, alle ciglia colorate… sono proprio bravi a prendersi cura di sé; c’è un arte ricercata dietro a tutto nella quale sono molto bravi; c’è un grosso desiderio di bellezza in tutte le dimensioni che però rimane un desiderio piccolo a dimensione di moda. La bellezza è una via importante per arrivare a Dio occorre però educarsi a percorrerla innanzitutto mostrando il filone di questa bellezza che percorre tutta la scrittura e la vita di Gesù; di questo do qua solo un assaggio.
La bellezza nella creazione (Gen 1,1-2,4a); Dio vide che era tutto molto buono/bello quelo che aveva creato, sono implicite le dimensioni della gratuità e dello stupore. La prima pagina della bibbia, contiene il ritornello (sette volte): Che bello!
Ricordiamo qua il  dialogo di Gesù con il giovane ricco. Quando il giovane si rivolge a Cristo dicendogli: «Maestro buono….», il Cristo sembra respingere questo aggettivo. Pone dunque al giovane la domanda: «Perché tu mi chiami buono? Nessuno infatti è buono, se non Dio solo» (Mc 10,18 e Lc 18,19). Ha voluto sottolineare, accentuare, che Dio solo è il Bene nel senso assoluto del termine. Solamente in Dio si realizza tutto ciò che è contenuto nella nozione di «bene», di Lui solo noi possiamo dire che è bello, cioè che è la Bellezza.

Il sé ha diritto naturale ad esprimersi, a trovare le proprie personalissime vie di espressione e sviluppo, in questo per loro non c’è nulla di male. Il successo è appunto l’obiettivo a breve termine degli adolescenti attuali.
Gli adolescenti di oggi non contestano l’autorità, perché non le danno molta importanza. Le riconoscono un’importanza secondaria: può essere utile purché non intralci la delicatezza dei «lavori in corso» nell’area della costruzione del sé.
Non ci sono norme o indicazioni che posano essere comprese come più importanti del proprio “istinto” di sviluppo, in questo loro non sentono niente di male, non si sentono in colpa, diventa una strada quest’ultima inutile da percorrere; percorrere la via di mostrare il male che fanno a se o ad altri non porta da nessuna parte, diventa l’occasione invece di mostrare un bene più grande senza incancrenirsi in battaglie contro le loro scelte condannandole, in quanto la condanna per loro non è comprensibile.
Per questo credo che il metodo di correzione e di educazione “etico/moralistico”, basato sulla punizione e sul senso di colpa, credo sia poco efficace oggi.
Il desiderio di riuscire, di esprimersi, di avere successo contiene molte energie, diventa però piccolo perché usato a breve termine e lega comunque il sentirsi soddisfatti se trova un riscontro positivo al proprio impegno.
Ci si può sentire realizzati quanto agli occhi del mondo veniamo considerati come degli sconfitti?
Sì! È tutto il racconto contenuto nel cantico del servo sofferente di Isaia 53.


Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione?
A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?
È cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come una radice in terra arida.
Non ha apparenza né bellezza
per attirare i nostri sguardi,
non splendore per provare in lui diletto.
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia,
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
il Signore fece ricadere su di lui
l'iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua sorte?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per l'iniquità del mio popolo fu percosso a morte.
Gli si diede sepoltura con gli empi,
con il ricco fu il suo tumulo,
sebbene non avesse commesso violenza
né vi fosse inganno nella sua bocca.
Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà se stesso in espiazione,
vedrà una discendenza, vivrà a lungo,
si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà la loro iniquità.
Perciò io gli darò in premio le moltitudini,
dei potenti egli farà bottino,
perché ha consegnato se stesso alla morte
ed è stato annoverato fra gli empi,
mentre egli portava il peccato di molti
e intercedeva per i peccatori.



Concludo riportando un altro brano di san Paolo:
Dov'è il sapiente? Dov'è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. (1Cor 1,20-25)

A lui diamo il nome di Narciso perché ha bisogno di vedere riflessa la propria immagine nello specchio sociale, nel consenso del gruppo, nella valutazione dei docenti, nell’affetto della madre e del padre.  Succede però che la debolezza di Narciso consiste proprio nella sua dipendenza dal riconoscimento da parte del mondo in cui vive. Allorché Narciso non venga adeguatamente riconosciuto e apprezzato ne soffre profondamente; il dolore che sperimenta scende in profondità, producendo rabbia impotente e un micidiale progetto vendicativo.
Quando è messo alla gogna, Narciso può diventare violento e molto cattivo. Questo perché non è capace di identificarsi con le vittime del dolore che infligge per poter riabilitare la propria «bellezza».
La furia narcisistica è pericolosa perché punta a far paura, a vendicarsi degli oltraggi subiti da chi ha abusato del potere che gli era stato conferito, umiliando il valore che era invece in attesa di un riconoscimento.
Quello che Narciso fa non lo fa per noi lo fa per sé, non cerca il nostro compiacimento perché vuole renderci contenti, ma per rendere contento se stesso; le nostre valutazioni non sono per lui importanti come giudizi oggettivi, non gli interessa in questo senso che abbiamo un’alta stima di lui, ma piuttosto questa lo interessa per sé perché gli dice quanto vale nel senso che misura il proprio valore rispecchiandosi nel valore dato dagli altri; così che proprio il cammino di autonomia crea una forte dipendenza dalla valutazione che gli altri fatto di lui: questo “gatto che si morde la coda” diventa una delle principali trappole che incontra un adolescente nel suo cammino di sviluppo. Questo ci richiama a grande responsabilità, nel parlare e nel comportarci, quanto più o meno indirettamente esprimiamo una valutazione sull’agire di Narciso, per lui il passaggio dall’oggettivo al personale è immediato, semplificando: se l’allenatore mette in panchina un giocatore perché per lui non è giornata e sta realmente sbagliando tante cose, questo viene trasformata in una comunicazione che gli dice che è un brocco incapace di giocare; l’allenatore non voleva dire questo eppure la comunicazione viene interiorizzata in questo modo. Cosa fare? All’estremo questo passaggio indebito all’interno di un ragazzo bloccherebbe ogni comunicazione, difficile realizzarla senza creare fraintendimenti. La consapevolezza di quanto gira nel cuore di Narciso non devo però distrarci o farci arrendere nel nostro ruolo di educatori: continueremo pertanto una comunicazione quanto più basata sulla valutazione oggettiva del suo operato per evitare di giudicare la persona, tutto questo tenendo presente che il ragazzo avrà del tutto una percezione diversa da quella che voglio, questo mi permetterà di comprendere meglio sue rimostranze che probabilmente si collocheranno da come lui vive il tutto nel suo punto di vista.
Una tra le cose che rende maggiormente provante il confronto con Narciso e la sua rabbia, purtroppo ne abbiamo tante notizie che girano nei telegiornali e nella vita delle nostre scuole. I ragazzi agiscono così non tanto perché molto suscettibili o troppo concertanti su di sé, ma perché capita che il sentirsi poco valutati sia per loro un dolore di tale intensità che non riescono a gestire e deve trovare uno sfogo e un colpevole al di fuori di loro; non sono cattivi, sono ragazzi che in quel momento soffrono molto, soffrono da impazzire. Con questo non voglio giustificare o togliere rilevanza alla violenza estrema che esplode in certi comportamenti, ma darne una interpretazione diversa da quella normalmente usata per questi fenomeni: la violenza è sintomo della sofferenza, per gestire la violenza occorre gestire la sofferenza. Il detto che “la rabbia rende ciechi” non ha avuto mai così ragione come quando applicato Narciso la cui violenza e sofferenza rafforzano ancora di più l’attenzione a sé così da rendergli quasi impossibile rendersi conto immediatamente, a volte anche posteriormente, del dolore causato ad altri. Non è semplice gestire queste situazioni, immediatamente occorre limitare i danni e contenere la situazione, il ragionarci è meglio rimandarlo a dopo; sono situazioni nelle quali come educatori saremo fortemente provocati a un intervento che non dovrà assolutamente adeguarsi al comportamento dell’altro.
Anche in questo caso c’è un buon annuncio che ci viene da Gesù e che ci permette come educatori di incamminarci dentro queste tensioni con un dinamismo nuovo, con una profezia di salvezza lì dove il mondo si sente incapace di proporre un’alternativa; ce la offre l’evangelista Luca nel sesto capitolo del suo Vangelo:
“Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l'altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da' a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell'Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.
Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio".
Disse loro anche una parabola: "Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: "Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio", mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.”

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