Gli adolescenti di oggi, dediti al culto del proprio sé,
pensano di doversi dedicare allo sviluppo della loro bellezza, non solo fisica,
ma psichica, sociale, espressiva, come una missione che ha diritto di
precedenza su tutte le altre.
In quanto molto concentrati su
di sé, è difficile inserire nella loro vita novità percepite come esterne o
estranee al proprio cammino di sviluppo;
anche parlando di cammino di fede la questione è rilevante in quanto essa può
essere attraente e trovare spazio nel momento in cui acquisisca una qualche
valenza centrale per il proprio sviluppo, altrimenti tante altre cose avranno
precedenza su di essa. Lo fanno senza malizia e senza pregiudizi, semplicemente
non capiscono come la dimensione della fede possa servire alla propria
crescita. In questo come comunità dobbiamo sentirci molto provocatiti, dando
per scontato che essa abbia qualcosa da dire alla ricerca di bellezza di ogni
uomo, la questione diventa allora la nostra difficoltà a dare ragione della
fede che è in noi e nel renderla significativa. Cerchiamo di farlo, invece di
rimanere fermi a lamentarci e chiederci perché sempre più giovani lasciano la
vita delle nostre comunità.
Guardate ai risvolti, ai
capelli, alle ciglia colorate… sono proprio bravi a prendersi cura di sé; c’è
un arte ricercata dietro a tutto nella quale sono molto bravi; c’è un grosso
desiderio di bellezza in tutte le dimensioni che però rimane un desiderio
piccolo a dimensione di moda. La bellezza è una via importante per arrivare a
Dio occorre però educarsi a percorrerla innanzitutto mostrando il filone di
questa bellezza che percorre tutta la scrittura e la vita di Gesù; di questo do
qua solo un assaggio.
La bellezza nella creazione
(Gen 1,1-2,4a); Dio vide che era tutto molto buono/bello quelo che aveva
creato, sono implicite le dimensioni della gratuità e dello stupore. La prima
pagina della bibbia, contiene il ritornello (sette volte): Che bello!
Ricordiamo qua il dialogo di Gesù con il giovane ricco. Quando
il giovane si rivolge a Cristo dicendogli: «Maestro buono….», il Cristo sembra
respingere questo aggettivo. Pone dunque al giovane la domanda: «Perché tu mi
chiami buono? Nessuno infatti è buono, se non Dio solo» (Mc 10,18 e Lc 18,19).
Ha voluto sottolineare, accentuare, che Dio solo è il Bene nel senso assoluto
del termine. Solamente in Dio si realizza tutto ciò che è contenuto nella
nozione di «bene», di Lui solo noi possiamo dire che è bello, cioè che è la
Bellezza.
Il sé ha diritto naturale ad esprimersi, a trovare le
proprie personalissime vie di espressione e sviluppo, in questo per loro non
c’è nulla di male. Il successo è appunto l’obiettivo a breve termine degli
adolescenti attuali.
Gli adolescenti di oggi non contestano l’autorità, perché
non le danno molta importanza. Le riconoscono un’importanza secondaria: può
essere utile purché non intralci la delicatezza dei «lavori in corso» nell’area
della costruzione del sé.
Non ci sono norme o
indicazioni che posano essere comprese come più importanti del proprio
“istinto” di sviluppo, in questo loro non sentono niente di male, non si
sentono in colpa, diventa una strada quest’ultima inutile da percorrere;
percorrere la via di mostrare il male che fanno a se o ad altri non porta da
nessuna parte, diventa l’occasione invece di mostrare un bene più grande senza
incancrenirsi in battaglie contro le loro scelte condannandole, in quanto la
condanna per loro non è comprensibile.
Per questo credo che il metodo
di correzione e di educazione “etico/moralistico”, basato sulla punizione e sul
senso di colpa, credo sia poco efficace oggi.
Il desiderio di riuscire, di
esprimersi, di avere successo contiene molte energie, diventa però piccolo
perché usato a breve termine e lega comunque il sentirsi soddisfatti se trova
un riscontro positivo al proprio impegno.
Ci si può sentire realizzati
quanto agli occhi del mondo veniamo considerati come degli sconfitti?
Sì! È tutto il racconto
contenuto nel cantico del servo sofferente di Isaia 53.
Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione?
A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?
È cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come una radice in terra arida.
Non ha apparenza né bellezza
per attirare i nostri sguardi,
non splendore per provare in lui diletto.
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia,
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
il Signore fece ricadere su di lui
l'iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua sorte?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per l'iniquità del mio popolo fu percosso a morte.
Gli si diede sepoltura con gli empi,
con il ricco fu il suo tumulo,
sebbene non avesse commesso violenza
né vi fosse inganno nella sua bocca.
Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà se stesso in espiazione,
vedrà una discendenza, vivrà a lungo,
si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà la loro iniquità.
Perciò io gli darò in premio le moltitudini,
dei potenti egli farà bottino,
perché ha consegnato se stesso alla morte
ed è stato annoverato fra gli empi,
mentre egli portava il peccato di molti
e intercedeva per i peccatori.
Concludo riportando un altro
brano di san Paolo:
Dov'è il sapiente? Dov'è il
dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato
stolta la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di
Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a
Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i
Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo
Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro
che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e
sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini,
e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. (1Cor 1,20-25)
A lui diamo il nome di Narciso perché ha bisogno di vedere
riflessa la propria immagine nello specchio sociale, nel consenso del gruppo,
nella valutazione dei docenti, nell’affetto della madre e del padre. Succede però che la debolezza di Narciso
consiste proprio nella sua dipendenza dal riconoscimento da parte del mondo in
cui vive. Allorché Narciso non venga adeguatamente riconosciuto e apprezzato ne
soffre profondamente; il dolore che sperimenta scende in profondità, producendo
rabbia impotente e un micidiale progetto vendicativo.
Quando è messo alla gogna, Narciso può diventare violento e
molto cattivo. Questo perché non è capace di identificarsi con le vittime del
dolore che infligge per poter riabilitare la propria «bellezza».
La furia narcisistica è pericolosa perché punta a far
paura, a vendicarsi degli oltraggi subiti da chi ha abusato del potere che gli
era stato conferito, umiliando il valore che era invece in attesa di un
riconoscimento.
Quello che Narciso fa non lo
fa per noi lo fa per sé, non cerca il nostro compiacimento perché vuole
renderci contenti, ma per rendere contento se stesso; le nostre valutazioni non
sono per lui importanti come giudizi oggettivi, non gli interessa in questo
senso che abbiamo un’alta stima di lui, ma piuttosto questa lo interessa per sé
perché gli dice quanto vale nel senso che misura il proprio valore
rispecchiandosi nel valore dato dagli altri; così che proprio il cammino di
autonomia crea una forte dipendenza dalla valutazione che gli altri fatto di
lui: questo “gatto che si morde la coda” diventa una delle principali trappole
che incontra un adolescente nel suo cammino di sviluppo. Questo ci richiama a
grande responsabilità, nel parlare e nel comportarci, quanto più o meno
indirettamente esprimiamo una valutazione sull’agire di Narciso, per lui il
passaggio dall’oggettivo al personale è immediato, semplificando: se
l’allenatore mette in panchina un giocatore perché per lui non è giornata e sta
realmente sbagliando tante cose, questo viene trasformata in una comunicazione
che gli dice che è un brocco incapace di giocare; l’allenatore non voleva dire
questo eppure la comunicazione viene interiorizzata in questo modo. Cosa fare?
All’estremo questo passaggio indebito all’interno di un ragazzo bloccherebbe
ogni comunicazione, difficile realizzarla senza creare fraintendimenti. La
consapevolezza di quanto gira nel cuore di Narciso non devo però distrarci o farci
arrendere nel nostro ruolo di educatori: continueremo pertanto una
comunicazione quanto più basata sulla valutazione oggettiva del suo operato per
evitare di giudicare la persona, tutto questo tenendo presente che il ragazzo
avrà del tutto una percezione diversa da quella che voglio, questo mi
permetterà di comprendere meglio sue rimostranze che probabilmente si
collocheranno da come lui vive il tutto nel suo punto di vista.
Una tra le cose che rende
maggiormente provante il confronto con Narciso e la sua rabbia, purtroppo ne
abbiamo tante notizie che girano nei telegiornali e nella vita delle nostre
scuole. I ragazzi agiscono così non tanto perché molto suscettibili o troppo
concertanti su di sé, ma perché capita che il sentirsi poco valutati sia per loro
un dolore di tale intensità che non riescono a gestire e deve trovare uno sfogo
e un colpevole al di fuori di loro; non sono cattivi, sono ragazzi che in quel
momento soffrono molto, soffrono da impazzire. Con questo non voglio
giustificare o togliere rilevanza alla violenza estrema che esplode in certi
comportamenti, ma darne una interpretazione diversa da quella normalmente usata
per questi fenomeni: la violenza è sintomo della sofferenza, per gestire la
violenza occorre gestire la sofferenza. Il detto che “la rabbia rende ciechi”
non ha avuto mai così ragione come quando applicato Narciso la cui violenza e
sofferenza rafforzano ancora di più l’attenzione a sé così da rendergli quasi
impossibile rendersi conto immediatamente, a volte anche posteriormente, del
dolore causato ad altri. Non è semplice gestire queste situazioni,
immediatamente occorre limitare i danni e contenere la situazione, il
ragionarci è meglio rimandarlo a dopo; sono situazioni nelle quali come
educatori saremo fortemente provocati a un intervento che non dovrà
assolutamente adeguarsi al comportamento dell’altro.
Anche in questo caso c’è un
buon annuncio che ci viene da Gesù e che ci permette come educatori di
incamminarci dentro queste tensioni con un dinamismo nuovo, con una profezia di
salvezza lì dove il mondo si sente incapace di proporre un’alternativa; ce la
offre l’evangelista Luca nel sesto capitolo del suo Vangelo:
“Ma a voi che
ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi
odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che
vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche
l'altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da'
a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
E come volete che
gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate
quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano
quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del
bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E
se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta?
Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate
invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la
vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell'Altissimo, perché egli è
benevolo verso gli ingrati e i malvagi.
Siate
misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.
Non giudicate e
non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e
sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata,
colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la
quale misurate, sarà misurato a voi in cambio".
Disse loro anche
una parabola: "Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno
tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma
ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la
pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è
nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: "Fratello,
lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio", mentre tu stesso non
vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio
e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo
fratello.”
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