domenica 5 luglio 2015

Giairo: semplicemente padre

Mi capita spesso di incontrare genitori di figli adolescenti che mi vengo a chiedere aiuto, o semplicemente per condividere, la loro sofferenza nei confronti del rapporto con i figli. Conosco anche tanti educatori parrocchiali tristi per l’abbandono da parte dei ragazzi delle attività pensate per loro. Capita spesso a quanti sono chinati verso le giovani generazioni, di sperimentare momenti di lutto, non tanto legati alla morte di qualcuno, ma al trovarsi inermi di fronte a certe situazioni. Ti svegli una mattina e lui: non vuole più andare a scuola, scopri nei suoi vestiti roba non legale, ti chiamano i carabinieri per andare in caserma, non esce più di casa, rimane incinta, dimagrisce troppo,
Tante sono le storie di sofferenza incontrate in questi anni. La prima cosa che faccia è ascoltarle, poi ringrazio perché il solo fatto di essere lì a parlarne vuol dire non averci mollato, mostra il desiderio di rimanere fedeli al proprio compito fino alla fine, questo non è poco e non è scontato. Quante volte incontro ragazzi soli, non perché senza nessuno, ma perché chi c’è ha deciso per vari motivi di non occuparsi più di loro, abdicando al compito che la natura, la società o Dio ha affidato loro. Ecco il vero lutto, non tanto le difficoltà elencate sopra, ma l’abbandono degli adulti del proprio ruolo educativo; nasce così una nuova classe sociale di orfani, quelli del nuovo secolo da poco iniziato, quelli della società scientificamente avanzata e ricca, ma incapace di prendersi cura di loro fino  in fondo.
Non voglio essere profeta di sventura, all’orizzonte si incontra una luce, sono i tanti Giairo che non si arrendono e per amore continuano a sperare e a darsi da fare. La loro storia è riassunta in una pagina del vangelo che parla proprio di uno di loro, del primo diventato famoso e indicato come esempio; eccola.
Venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare. (Mc 5, 22-24.35b-43)

Abbiamo un papà che deve affrontare la malattia gravissima della figlia, il pensiero che muoia, poi anche la notizia stessa della sua morte senza averle potuto dire un’ultima parola. La situazione è tragica, eppure questo padre non perde la speranza, le prova tutte e anche una in più. Non rinuncia al suo compito neanche quando arriva la notizia della morte della figlia, lui rimane padre anche quando la logica del mondo dice che ormai è sensato abbandonare ogni speranza.
È un esempio bello che indica uno stile ai tanti che come lui si trova di fronte a situazioni superiori alle proprie forze. La vera morte nell’educazione è la mancanza di speranza, quando compare segna la fine di ogni impegno e blocca ogni possibile passo avanti. La cura sta pertanto nel farla ritrovare e nel sostenerla in quanti faticano a mantenerla salda. Insieme a questo, aiutare ciascuno a essere responsabile del proprio ruolo fino alla fine e anche oltre la fine.
Ma nel Vangelo non ci troviamo di fronte solo a una questione di guarigione, non è solo il tentativo di restaurare la situazione di prima, questa ragazzina destinata alla morte ora può essere posta davanti alla vita, non solo a quella di prima ma a una vita nuova caratterizzata dalla fede, che per ora è quella di suo padre e che poi sono sicuro diventerà anche la sua.
Questo discorso chiama in causa ciò in cui noi crediamo, io mi affido al Dio di Gesù Cristo che mi da la speranza della vita eterna e la certezza di una sua vicinanza paterna, mi invita a prendermi cura delle persone in tutta la loro grandezza, mi indica un disegno molto più ampio sull’esistenza rispetto a quanto ci insegna il mondo: io scelgo di essere al servizio di questo progetto di vita pensato per tutti, e lo faccio in particolare per i tanti giovani che incontro lungo il corso e l’intreccio della vita.
Troppe volte ci arrendiamo alle logiche a cui ci abitua il mondo, a un certo punto anche nel testo del Vangelo sembra prevalere l'ovvietà e il buonsenso della rassegnazione di fronte all'inevitabile, sembra che qualcuno voglia suggerire che la morte la si può solo accettare. Si insinua addirittura che questo limite non può essere valicato neppure dal "Maestro"; Gesù non ci sta ed è proprio il momento nel quale prende in mano le redini del tutto per indicare la via giusta che da senso alla vita. Questa strada è possibile percorrerla anche oggi, come educatori alla fede ne abbiamo una particolare responsabilità. Stiamo attenti a non fare anche noi la fine dei discepoli che sembrano arrendersi a una logica solo umana, questo li porta a essere muri e non ponti all’incontro con la Vita.
Non è semplice, lo so, me lo dicono in tanti, non lo è stato neppure per Gesù, anche lui esposto alle risa beffarde di quanti dal lutto si trasformano in detrattori di chi si fa portatore di speranza, dei tanti che anche in questo mondo si limitano a piagniucolare sulla situazione del mondo giovanile senza muovere un dito, se non poi per prendersela con chi generosamente le prova tutte, proprio come farebbe un papà, come fa Giairo, come invito a fare a tutti i Giairo di oggi, perché così è Dio: Padre.

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