domenica 12 luglio 2015

Domande di vita

I giovani hanno tante domande dentro e se hai la pazienza di stare lì ad ascoltare le tirano fuori. Spesso sono domande fatte seguendo la passione del momento o nate da una ricerca che ancora non è ben organizzata. A volte anche solo per curiosità o per desiderio di sapere certe cose. In ogni modo credo che ogni domanda meriti il tentativo di una risposta, essa però non sempre deve seguire i criteri secondo i quali è stata fatta; cioè il nostro aiuto non può limitarsi ad essere passionale, disorganizzato, curioso, intellettuale o così via, occorre che sia parte di un cammino che stimola a tirare fuori la ricerca vera, una risposta che metta in cammino, che faccia fare esperienza.
Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: "Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?". Gesù gli disse: "Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?". Costui rispose: " Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso ". Gli disse: "Hai risposto bene; fa' questo e vivrai". Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: "E chi è mio prossimo?". Gesù riprese: "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all'albergatore, dicendo: "Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno". Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?". Quello rispose: "Chi ha avuto compassione di lui". Gesù gli disse: "Va' e anche tu fa' così" (Lc 10,25-37).
In questo brano del Vangelo di Luca, abbiamo l’incontro tra Gesù e uno studioso del suo tempo che pone una domanda semplice, ma tutt’altro che scontata nella risposta. Io non so i motivi per i quali fa questo, il testo ci dice che si comporta così per mettere Gesù alla prova. Mi sembra una cosa della quale non scandalizzarsi più di tanto, visto anche che a molti sarà capitato di incontrare adolescenti che si pongono nello stesso atteggiamento quando si tratta di questioni riguardo Dio e la fede. Capita di affrontare questo modo provocatorio di affrontare le questioni, a volte la cosa può lasciarci infastiditi, occorre accogliere però gli interrogativi posti e cercare di ricondurli alle domande di vita che contengono.
Gesù comprende la sfida presente nella domanda del suo interlocutore, la accoglie ma sa andare anche oltre. Dà una risposta che non si pone solo a livello intellettuale, non vuole esaurire una curiosità, non si accontenta che tutto finisca lì, infatti si sente di rilanciare e dice che quella risposta non è da pensare, ma da fare: “Hai risposto bene; fa' questo e vivrai” (Lc 10,28).
Gesù crea una connessione con la vita, anche noi educatori abbiamo questo compito, collegare le domande con la vita dalla quale provengono, non ci si può accontentare di dare solo delle risposte, ma occorre chiamare in gioco tutta l’esistenza del ragazzo perché arrivi a fare esperienza di vita e di fede. La cosa risulta ancora più evidente nella storia che Gesù racconta subito dopo, quella del “Buon Samaritano”, rende tutto ancora più concreto facendo un esempio, non si ferma a chiarire le cose ma gli chiede di mettersi in gioco.
Nasce un confronto di vita, da una parte quella di chi ascolta, dall’altra quella degli attori della vicenda, in mezzo si pone anche Gesù, non solo nel guidare il tutto, ma mettendosi egli stesso in gioco in quel racconto. È spesso utile saper calare la vita dei ragazzi in una narrazione che arriva a parlar di loro, che li provochi e li porti a dare una risposta alla storia e da lì trarre indicazioni per la propria vita. Usando questo stile di annuncio, rimane importante mantenere non un lieto fine modello fiaba, ma un finale aperto sulla realtà del giovane, una conclusione che rilancia a un impegno di vita nuovo: “Va' e anche tu fa' così” (Lc 10,37).
Occorre che verifichiamo la capacità delle nostre proposte educative di affidare compiti da svolgere e non orientarsi tanto sul dare risposte che mettano tranquilli, perché l’incontro con Gesù porta sempre a una chiamata nel vivere in modo nuovo la propria vita.
Questo stile educativo lo possiamo chiamare “vocazionale”, esso non mette in campo solo l’importanza della chiamata, ma lavora anche sulla risposta che rappresenta forse il tasto più dolente nelle nuove generazioni, esso rappresenta il reale indicatore della maturità nell’incontro con Gesù. Non è facile rispondere di sì, sono tante le resistenze che un giovane si trova ad incontrare, ma di questo ne parleremo in un’altra occasione, ora basta sapere che Gesù si fida abbastanza di noi da chiamarci amici e vuole condividere questa amicizia con noi fino in fondo.

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