mercoledì 8 aprile 2015

Perché dovrei fare quello che mi dite?

Chiunque ha a che fare con i ragazzi sa che c’è un momento nel cammino di educazione nel quale con l’età arriva la “critica” alle decisioni, alle norme, ai percorsi che gli adulti propongono ai più giovani; chi di noi non si è mai scontrato con il muso di un quindicenne che a denti stretti ti dice: ma scusa, perché dovrei fare quello che mi dite?
È giusto che arrivi questo momento nel quale si gioca anche la decisione di essere o meno onesti nella vita, di rispettare le regole e le condotte civile richieste dalla società e dal vivere insieme,  se guadagnare onestamente attraverso il lavoro oppure praticare altre strade che sembrano più semplici; in oratorio ho ragazzi che non studiano e non lavorano, altri che hanno trovato risposte troppo semplici alle domande di senso della vita, non è tutta colpa loro eppure è così.
Perché far fatica quando c’è qualcuno che la fa per me? Rubare lo fanno tutti, chi sono io il più fesso? Se ti aiuto cosa mi dai in cambio? Far sesso è la cosa più naturale del mondo poi io non sono micca un prete! Queste e tante altre frasi ritornano regolarmente nei dialoghi che ho con tanti ragazzi, già il fatto che pongano il tutto come una domanda, se pur posta come sfida, credo sia uno spiraglio nel quale come educatori credo occorra che guardiamo.
Il rischio può essere che la nostra risposta non si concentri sulla domanda, ma sullo squalificare questi ragazzi dicendo che sono cattivi, o si pongono domande sbagliate; il rischio successivo è di prendersela con gli altri chiamando in causa la famiglia, la società, la scuola, la politica e il mondo, facendo emergere quasi un complotto globale, quando arriviamo alla fine abbiamo sicuramente perso l’attenzione dei più giovani e di fatto abbiamo abbandonato la questione di partenza; un ultimo rischio è impostare il discorso sull’obbedienza dovuto all’autorità costituita, cioè devi farlo perché te lo dice tuo padre, oppure Dio, oppure la preside.
Il libro del Deuteronomio affronta la domanda con la quale siamo partiti, chiaramente è solo una impostazione e c’è anche da considerare che questo libro non è stato scritto per rispondere a questa specifica domanda, comunque è interessante leggerne un pezzettino.
Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: "Che cosa significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme che il Signore, nostro Dio, vi ha dato?", tu risponderai a tuo figlio: "Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente. Il Signore operò sotto i nostri occhi segni e prodigi grandi e terribili contro l'Egitto, contro il faraone e contro tutta la sua casa. Ci fece uscire di là per condurci nella terra che aveva giurato ai nostri padri di darci. Allora il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi, temendo il Signore, nostro Dio, così da essere sempre felici ed essere conservati in vita, come appunto siamo oggi. La giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica tutti questi comandi, davanti al Signore, nostro Dio, come ci ha ordinato" (Dt 6, 20-25)
Le leggi e le istruzioni hanno senso perché sono lì come garanzia, per evitare di tornare ad essere schiavi, servono per difendere la felicità faticosamente guadagnata e oggi data per scontata ma che così non è perché sempre esposta a nuove minacce, ci sono perché sono a testimonianza di una promessa di Dio e di un sogno dell’uomo di vivere come persone libere chiamate responsabilmente a costruire la propria vita secondo le proprie intenzioni e non quelle di un altro; quasi per assurdo proprio il seguire le indicazione date da altri, o da un Altro, mi da la possibilità di essere autenticamente me stesso, non c’è una ricerca di sé che non passi anche attraverso l’ascolto e l’accoglienza di chi mi trovo accanto. Ci sono delle regole, esse non sono fini a se stesse, ma a sostegno di un cammino più ampio, occorre riuscire a mostrare l’orizzonte nel quale e per il quale esistono; il brano del Deuteronomio sopra riportato ci suggerisce di farlo con un linguaggio non legalistico ma narrativo, dove il senso di tutto è collocando dentro un racconto che chiama in causa la vita, questo aiuta anche ad evitare il pericolo di cadere in un approccio moralistico al tutto al quale i giovani di oggi sono particolarmente allergici.
Questa estate un gruppo di giovani della parrocchia parteciperà a un campo estivo di lavoro organizzato dall’associazione “Libera” che si occupa di sollecitare la società civile nella lotta alle mafie e promuovere legalità e giustizia, anche attraverso un uso sociale dei beni confiscati alle mafie. Attraverso il contatto concreto con la terra della Calabria e l’incontro con testimoni ed esperienze di lotta al fenomeno della malavita organizzata, saranno aiutati a realizzare quanto più sopra descritto, una educazione che passa attraverso narrazioni di vita che cercano di mostrare il senso di libertà e felicità che anima certi cammini di giustizia, aiutare così i ragazzi a dare senso al proprio cammino nel costruire una vita giusta e felice per sé e per gli altri partendo dai propri ambienti di vita quotidiani.

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