martedì 15 luglio 2014

Quello che le parole non dicono

Mi è capitato di trovarmi a sedere fuori dall’oratorio nel momento in cui usciva un gruppo di giovani adolescenti dal loro incontro settimanale, è stato proprio interessante potersi fermare a contemplare i loro vari riti, gli stili di comportamento. C’era la coppietta che si è messa subito in disparte a salutarsi con calma mentre le amiche rimanevano a distanza ad aspettare la ragazza, il solitario con pochi amici e a volte escluso prendere la bicicletta e subito avviarsi verso casa, i tre amici a cui non interessano ancora le ragazze ma solo lo sport che vanno a prendere le bici parcheggiate vicine parlando chissà di cosa e ignorando tutto il mare di vita che si muove intorno a loro, il gruppetto dei “fighi” del gruppo tutti impettiti che cercano le ragazze e si fanno forza tra di loro, ecc. Come questa situazione ce ne sono tante altre dove si mettono a sedere, chi salutano e come lo fanno, come si guardano…
Quale musica è più incantevole delle voci dei giovani,
quando non senti quello che dicono?
(Logan Pearsall Smith).
È proprio l’arte di chi è chiamato ad educare, fare ciò che il mondo non riesce, mantenersi in uno stato di ascolto continuo, non dare per scontato di essere nel giusto, di aver capito tutto di chi è più giovane, di dovere solo insegnare, non pensare che ci sia solo ciò che appare. Mi ricordo di tanti genitori, con i quali ho parlato e che mi confidavano dei dialoghi con i loro figli adolescenti, tanti fatti di monosillabi, altri di porte chiuse, altri di comportamenti giudicati incoerenti, eppure quale bella ricerca si mostra anche nei silenzi dei nostri ragazzi!
Si può imparare tanto fermandosi a guardarli, forse come educatori è una cosa che facciamo poco, alcuni genitore lo fanno quotidianamente a volte costretti, felici o preoccupati, a seconda dei casi, per quel figlio che bimbo non è più e che ora vedono crescere prendendo pian piano il volo senza di loro; certamente come educatori siamo chiamati a guidare, proporre, insegnare, ma forse abbiamo tanto anche da imparare stando con questi ragazzi; anche a distanza, stando solamente a guardarli.
Quanto fin qua detto mi sono sentito di comunicarlo durante una condivisione al termine di una settimana residenziale di vita comunitaria con dei giovani, dove abbiamo vissuto insieme la quotidianità togliendo ad essa quel velo di abitudine che spesso si porta dietro cercando di comunicare che vivere è bello; in quella settimana io ho imparato tanto dai ragazzi, tanto bravi a volte nel farti venire la voglia di prenderli a calci quanto poi di regalarti una fiducia gratuita capace di tanta pazienza e disponibilità anche nel passare sopra al nostro essere a volte educatori un po’ improvvisati e comunque persone in cammino.
Stupirsi di sentirsi dire: a casa alla mattina mi sveglio a fatica qua lo faccio sempre a fatica ma sono contento, mi viene voglia di andare a scuola perché ci andiamo insieme, è più bello parlare con gli amici personalmente piuttosto che farlo con il cellulare, non mi va di andare in gita preferisco restare qua, le giornate ordinarie sono diventate speciali… e tutto questo prima di dirlo a parole lo hanno mostrato nel loro modo di vivere e ho trovato coerenza tra il loro dire e il loro fare.
Gesù seduto di fronte al tesoro del tempio, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». (Mc 12, 41-44)
Anche Gesù nel Vangelo dimostra di avere una grande attenzione per gli atteggiamenti della gente, sa come essi siano capaci di rivelare molto di più di quanto mostrano, sono capaci di dire le motivazioni delle azioni e di mostrare il cuore. Così capita con questa vedova, fermandosi all’apparenza si dovrebbe dire che chi ha dato di più è stato il ricco, solo uno squadro attento e intelligente (che sa leggere dentro intus legere) comprende la realtà che va oltre alla superfice. Credo che lo stesso cammino vada fatto con i ragazzi, troppe volte ci capita di fermarci a giudicarne solo ciò che appare immediatamente ma così siamo educatori stupidi, mentre occorre essere educatori intelligenti capaci cioè di andare dentro le cose. Se faremo così credo che come adulti saremo chiamati a una grande conversione, rendendoci conto che in realtà questi giovani a volte un po’ poco considerati, sono capaci di grandi cose, semplicemente noi non ce ne accorgiamo.

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