sabato 12 luglio 2014

L’educatore è uno sprecone per professione

Nel vangelo (Mt 13, 1-23) Gesù presenta una parabola che parla di un seminatore che in apparenza sembra l’emblema dei un mondo che come il nostro a volte butta via e consuma senza stare troppo a pensare. Questo lavoratore della terra sembra essere un po’ alle prime armi, getta il seme ovunque senza preoccuparsene: sulla strada, nei sassi, tra i rovi e per fortuna anche sulla terra. Molto del suo seme non finisce nel posto pensato giusto dalla corretta scienza agronomica, ma finisce in posti nei quali, per un problema o l'altro, non si ricava il frutto sperato.
Questo agricoltore tanto strano, in realtà, assume una dimensione ispiratrice per chiunque si trova impegnato a lavorare nel “campo” dell’educazione, anche qua si tratta di seminare facendolo secondo logiche che a volte posso apparire veramente pazze e sprecone.
Questo seminatore diventa allora immagine dell’educatore, sembra importargli solo che il seme venga seminato e seminato in abbondanza, senza paura e riserve; egli sa cosa sta usando, che il seme è buono e se cadrà nel posto giusto produrrà sicuramente un frutto abbondante.
Questo suo adoperarsi così abbondante mostra la sua generosità e il suo entusiasmo, qualità che non possono mancare a chiunque si affianchi al cammino dei più giovani.
Mi vengono in mente i tanti dialoghi fatti con educatori ma soprattutto genitori, nell’accogliere le loro perplessità di fronte a ragazzi che sembravano rimanere sterili di fronte a ogni operazione posta in campo per farli fiorire, di fronte ai silenzi che accompagnavano il cammino, nell’assenza del riscontro atteso alla fine di un cammino; tutto questo insieme alle ansie e spesso ai sensi di colpa di chi sentiva “seminatore” fallito, tutto il cammino difficile per aiutarli a scoprire che anche nel fallimento immediato ci può essere la speranza del frutto, che il nostro compito di gettare e forse a un altro toccherà raccogliere.
Per un educatore cristiano questo cammino è inevitabile, lo è stato anche per i discepoli che vedevano da una parte cresce i miracoli e i discorsi di Gesù, dall’altro invece nasceva sempre più forte il desiderio di toglierlo di mezzo fino a quando tutto questo è cresciuto fin dentro la cerchia più stretta dei propri amici più intimi. E cosa dire della croce? Piantata sulla terra, quasi come se fosse da essa crescita, nuovo albero della salvezza, immediatamente per tanti è motivo di paura e segno della fine di tutto; quanti avranno guardato a Gesù come uno che aveva sprecato la propria vita evidentemente fallendo? Invece è l’inizio di tutto, è il successo; quel frutto considerato sterile diventa oggi il motivo del nostro credere e del lavoro di tanti in tutto il mondo.
Chi di noi non si è mai fermato a valutare se le energie, il tempo, la passione usata con i ragazzi in tante attività e ripetuti tentativi non sia uno spreco di fronte a quello che immediatamente ci torna indietro e di fronte a fatto che nulla sembra cambiare? Quante volte ci si ferma a fianco del letto diventato arido del fiume della vita di un ragazzo ricordando il tanto seminato e disperando il quanto ottenuto?
Gesù dà uno stile; non temere la risposta scarsa, non frenare di fronte al poco raccolto, essere fiduciosi nella bontà di quanto dato. Nel campo dell’educazione ci vuole tanto ottimismo anche quando tutto intorno sembra seccare, credere che in tutti c’è un pezzettino di terra buona che come il lievito nella basta farà fermentare tutto il resto.
Infine l’educatore è chiamato a vivere di speranza, contro tutti coloro che ci dicono che sprechiamo il nostro tempo, perché tutto quello che di buono è stato seminato nelle cose che facciamo e nelle relazioni che costruiamo, non andrà mai tutto perso.

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