Nel vangelo (Mt 13, 1-23) Gesù presenta una parabola che
parla di un seminatore che in apparenza sembra l’emblema dei un mondo che come
il nostro a volte butta via e consuma senza stare troppo a pensare. Questo
lavoratore della terra sembra essere un po’ alle prime armi, getta il seme
ovunque senza preoccuparsene: sulla strada, nei sassi, tra i rovi e per fortuna
anche sulla terra. Molto del suo seme non finisce nel posto pensato giusto
dalla corretta scienza agronomica, ma finisce in posti nei quali, per un
problema o l'altro, non si ricava il frutto sperato.
Questo agricoltore tanto strano, in realtà, assume una
dimensione ispiratrice per chiunque si trova impegnato a lavorare nel “campo”
dell’educazione, anche qua si tratta di seminare facendolo secondo logiche che
a volte posso apparire veramente pazze e sprecone.
Questo seminatore diventa allora immagine dell’educatore, sembra
importargli solo che il seme venga seminato e seminato in abbondanza, senza
paura e riserve; egli sa cosa sta usando, che il seme è buono e se cadrà nel
posto giusto produrrà sicuramente un frutto abbondante.
Questo suo adoperarsi così abbondante mostra la sua
generosità e il suo entusiasmo, qualità che non possono mancare a chiunque si
affianchi al cammino dei più giovani.
Mi vengono in mente i tanti dialoghi fatti con educatori ma
soprattutto genitori, nell’accogliere le loro perplessità di fronte a ragazzi
che sembravano rimanere sterili di fronte a ogni operazione posta in campo per
farli fiorire, di fronte ai silenzi che accompagnavano il cammino, nell’assenza
del riscontro atteso alla fine di un cammino; tutto questo insieme alle ansie e
spesso ai sensi di colpa di chi sentiva “seminatore” fallito, tutto il cammino
difficile per aiutarli a scoprire che anche nel fallimento immediato ci può
essere la speranza del frutto, che il nostro compito di gettare e forse a un
altro toccherà raccogliere.
Per un educatore cristiano questo cammino è inevitabile, lo
è stato anche per i discepoli che vedevano da una parte cresce i miracoli e i
discorsi di Gesù, dall’altro invece nasceva sempre più forte il desiderio di
toglierlo di mezzo fino a quando tutto questo è cresciuto fin dentro la cerchia
più stretta dei propri amici più intimi. E cosa dire della croce? Piantata
sulla terra, quasi come se fosse da essa crescita, nuovo albero della salvezza,
immediatamente per tanti è motivo di paura e segno della fine di tutto; quanti
avranno guardato a Gesù come uno che aveva sprecato la propria vita
evidentemente fallendo? Invece è l’inizio di tutto, è il successo; quel frutto
considerato sterile diventa oggi il motivo del nostro credere e del lavoro di
tanti in tutto il mondo.
Chi di noi non si è mai fermato a valutare se le energie, il
tempo, la passione usata con i ragazzi in tante attività e ripetuti tentativi
non sia uno spreco di fronte a quello che immediatamente ci torna indietro e di
fronte a fatto che nulla sembra cambiare? Quante volte ci si ferma a fianco del
letto diventato arido del fiume della vita di un ragazzo ricordando il tanto
seminato e disperando il quanto ottenuto?
Gesù dà uno stile; non temere la risposta scarsa, non
frenare di fronte al poco raccolto, essere fiduciosi nella bontà di quanto
dato. Nel campo dell’educazione ci vuole tanto ottimismo anche quando tutto
intorno sembra seccare, credere che in tutti c’è un pezzettino di terra buona
che come il lievito nella basta farà fermentare tutto il resto.
Infine l’educatore è chiamato a vivere di speranza, contro tutti coloro che ci dicono che sprechiamo il nostro tempo, perché tutto quello che di buono è stato seminato nelle cose che facciamo e nelle relazioni che costruiamo, non andrà mai tutto perso.
Infine l’educatore è chiamato a vivere di speranza, contro tutti coloro che ci dicono che sprechiamo il nostro tempo, perché tutto quello che di buono è stato seminato nelle cose che facciamo e nelle relazioni che costruiamo, non andrà mai tutto perso.
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