lunedì 24 marzo 2014

Mettersi ai piedi dei ragazzi per ascoltarli

Qualche tempo fa una madre mi confidava della sua difficoltà nella vita domestica a dover conciliare lavoro insieme alle faccende di casa con l’attenzione e l’affetto da avere per il proprio figlio ormai adolescente. La capisco, non è semplice, come educatori spesso pensiamo che l’importante è fare tante cose e del resto chi si occupa di adolescenti è chiamato a prendersi cura di tanti aspetti; restiamo così immersi nell’eterna dinamica che mi piace un po’ ricondurre alla sindrome di “Marta e Maria”.
Nel Vangelo ci viene narrato l’episodio di queste due donne che accolgono a casa Gesù e di come ci sia da parte loro un diverso modo di aver cura di questo prezioso ospite. Marta si fionda in cucina e a preparare perché tutta la casa sia in ordine pronta, Maria sta vicino a Gesù e a un certo punto si siede ai suoi piedi ad ascoltarlo; il racconto poi procede ma quello che m’interessa è questo.
Ogni educatore ha dentro di sé entrambe le tensioni presentate da queste due donne, a volte la tentazione e di incarnare soprattutto Marta: “Cosa posso fare, quale esperienza trovare, dove posso andare con questi ragazzi?”, è senz’altro necessario programmare e progettare, ma non tuto si riassume qua. Occorre che riprendiamo in mano il nostro essere Maria, occorre ritornare e ritornare sempre ai piedi degli adolescenti per ascoltarli, per capirli, per apprezzarli, per ragionarci insieme e soprattutto per stupirci e ringraziare della bellezza che la loro vita ci può consegnare anche in mezzo alle fatiche e ai casini che la caratterizzano.
Mi direte: ci abbiamo provato ma non funziona! E no, i giovani parlano, eccome, certo forse non chiaramente come o quando vorremmo, occorre essere pronti, non tanto fare come Maria, ma essere Maria, pronti quando è ora a lasciare il resto e stare lì ai piedi dei nostri ragazzi; sì noi adulti, noi navigati ed esperti, noi educatori, stare ai piedi dei nostri ragazzi come persone che devono imparare, guardandoli non dall’alto al basso, ma dal basso all’alto; mettendoci non al loro livello, ma addirittura sotto ad essi, è l’umiltà di chi educa e vive questa dimensione come servizio.
Era in oratorio durante un pomeriggio come tanti, entra un ragazzo viene a prendere una bibita, era da molto tempo non lo si vedeva, una domanda di rito “come stai, come va a scuola” apre improvvisamente a un dialogo molto più ampio di quanto ci si poteva aspettare. Cosa fare? Occorre stare ad ascoltarlo, e se per caso la domanda era tanto così per fare e in realtà eravamo noi giusto di passaggio e di corsa per andare a fare altre cose, occorre stare ad ascoltarlo; è chiaro che se c’è in ballo qualcosa d’importante e necessario da un’altra parte ce ne possiamo andare, ma sempre nella consapevolezza che ci perdiamo qualcosa di rilevante.
Ancora, alla fine di un incontro con dei giovani ormai alle 23, ci salutiamo, pian piano vanno via tutti, saluto anche l’ultimo ragazzo che sta andando via; occorre saper ascoltare anche gli atteggiamenti, i non detti, e quel ragazzo mi sembrava ne avesse, cosa fare? Una semplice domanda sospesa è stata di aiuto: come stai? Questo lascia la liberta all’adolescente  di dirmi “tutto bene” che potrebbe significare veramente questo oppure indirettamente non ho voglia di parlarne, in ogni caso è uguale, si accoglie e ci si saluta; nel caso specifico la risposta alla domanda generica fu “insomma”, che è da interpretare come ci sia qualcosa che mi occupa testa e cuore e sono disposto a parlartene sempre se trovo in te la disponibilità ad ascoltarmi. Cosa fare visto che ormai sono le 23 e avevo anche io voglia di “ritirarmi”, potevo dire “la prossima volta che ci vediamo ne parliamo”, in alcuni casi potrebbe funzionare ma risulta problematica perché prima ti chiedo come stai e poi non h tempo di ascoltarti; oppure metto da parte l’orario, mi metto a sedere così da esprimere anche fisicamente la posizione dell’ascolto e sto lì; in questo caso aveva bisogno di parlare per tirare fuori le cose e questo è l’essenziale, una volta aperta la comunicazione è più facile rimandare ad un altro momento la risoluzione di questioni rimaste aperte, in questo caso fu lui ad offrirmene l’invito dicendomi “casomai vengo a parlartene un’altra volta”, che vuol dire: io voglio continuare, ma non adesso, tu sei disposto ad continuare ad ascoltarmi; la mia risposta fu “molto volentieri”.
Lo so non è semplice, non c’è tempo per fare tutto, non ci sono molto regole generali e ogni ragazzo è a sé, ogni educatore deve essere impegnato a farlo almeno con i ragazzi che gli vengono affidati.

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