mercoledì 12 febbraio 2014

I miei idoli: schiavo o figlio?


Quando  si è bambini i modelli di riferimento è naturale che siano le mamme e dei papà, sono infatti loro che concretamente iniziano alla vita attraverso l’insegnamento di regole e la trasmissione di verità e valori, sono così le guide per i figli e vengono da loro presi come specchio della propria crescita.
La cosa però non dura per sempre, infatti quando arriva l’adolescenza le cose cambiano, nasce un po’ di crisi dentro il contesto familiare ormai abituato ai propri riferimenti, ma con buona pace dei genitori è giusto che sia così; solo se l’adolescente prende le distanza dalle verità e dai valori insegnati può ritrovarli veramente suoi e nel contempo lasciare spazio perché possano crescere propri ideali. Qualcuno potrebbe suggerire il perché non tentare di tenere insieme le due tensioni, ahimè questo non è possibile non perché sia giusto o sbagliato, ma per una necessità molto contingente: non c’è abbastanza spazio per tutto, all’adolescente serve abbastanza disponibilità di tutto per far sì che la propria vita si allarghi alla vita degli altri ragazzi nell’incontro con il mondo.

Nasce così una nuova ricerca, non sempre buona anche se inevitabile, di nuovi modelli di riferimento, di nuovi idoli; anche nella Bibbia succede una cosa del genere, quasi come se fosse un momento necessario per la vita di crescita anche di un intero popolo.
Leggiamo nel libro dell’Esodo: 1 Il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dalla montagna, si affollò intorno ad Aronne e gli disse: «Facci un dio che cammini alla nostra testa, perché a quel Mosè, l'uomo che ci ha fatti uscire dal paese d'Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto». 2 Aronne rispose loro: «Togliete i pendenti d'oro che hanno agli orecchi le vostre mogli e le vostre figlie e portateli a me». 3 Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli orecchi e li portò ad Aronne. 4 Egli li ricevette dalle loro mani e li fece fondere in una forma e ne ottenne un vitello di metallo fuso. Allora dissero: «Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto!». (Es 32,1-4)
Israele è stato liberato dalla prigionia della dipendenza del Faraone, ha sperimentato che Dio è padre e ha cura di lui, che ascolta le sue richieste, che interviene in sua difesa e fissa una alleanza relazionale fatta anche di regole all’interno delle quali uno è aiutato a scoprire la propria identità e quella dell’altro. Inizia così un viaggio di libertà e di emancipazione alla ricerca della promessa e della felicità che sente viva dentro di sé, in questo cammino di scoperta di essere un popolo figlio di un Dio che è Padre, si trova presto ad affrontare la necessità di una libertà tutt’altro che scontata tanto da farsi un idolo.

Può sembrare strano ma questi idoli per i ragazzi diventano veri compagni di viaggio e punti di riferimento, è come se fossero veri e propri amici, è inutile stare qua a dire che è bene o male, dovremmo invece impegnarci a farne la conoscenza come se fossero gli amici che mi porto a casa e dei quali mi informo; sì penso sarebbe meglio così piuttosto che diventare i nemici contro i quali intraprendere crociate. In molti casi rappresenta una tappa passeggera a volte caratterizzata da sbandate che ahimè possono lasciare anche cicatrici, ma solo quando il tutto dovesse diventare solo una zavorra che ostacola il viaggio vivendolo quasi come l’ingresso in una specie di “setta” assumendo una posizione passiva, qua sì credo necessario intervenire come del resto farà anche Mosè nei confronti di Israele; risvegliare il cammino a diventare grandi, spesso accompagnato da timori che possono far guardare indietro con nostalgia a come si stava meglio prima, ma indietro non si può tornare a meno che non si voglia tornare ad essere schiavi invece che figli.

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