martedì 6 agosto 2019

Oggi per un giovane è “incredibile” poter “credere” in Dio?

Quando si parla del mondo giovanile c’è tanto pessimismo, mi spiace. Non che tutto vada bene, è che mi rendo conto che le opinioni di tanti si basano su uno sguardo superficiale, non riescono a entrare dentro i motivi e le ricerche; non arrivano a uno sguardo ampio che deve abbracciare l’intera fase evolutiva della crescita; faticano a comprendere le diversità di una generazione che adotta differenti linguaggi e modi di affrontare le stesse cose che noi abbiamo vissuto in altro modo. Per non parlare della fatica a convertirci come comunità adulta, con una tendenza che si limita a dire e aspettare che siano i giovani a cambiare.
Ma non è di questo che voglio parlare, l’ho già fatto nei libri e numerosi articoli pubblicati. Desidero invece soffermarmi sulla possibilità che oggi un giovane ha di credere in Dio. 
Nei tanti incontri avuti, anche con ragazzi che si professano non credenti, ho quasi sempre trovato un’apertura all’ammissibilità del poter credere in Dio anche in un contesto come quello attuale. Questo mi porta a pensare che spesse volte leghiamo al tema della fede delle precomprensioni che sono più di noi adulti che non appartenenti al vissuto delle nuove generazioni.
Non metto in discussione le statistiche che parlano di una progressiva “crisi” nella pratica della religione, affermo però che, rispetto alle generazioni passate, i giovani di oggi sono più aperti nei confronti della dimensione religiosa e del suo legittimo posto tra le aspirazioni che guidano le ricerche profonde dell’essere umano, nella ricerca di risposte alle domande fondamentali della vita. Anche questo rappresenta un tassello che ha contribuito a quel cambiamento d’epoca al quale stiamo assistendo e che ha portano alla nascita di una nuova generazione che ci richiede nuovi criteri per interpretarla e apprezzarla.
Ciò detto, occorre però evidenziare che non esiste un automatismo nel discorso della fede, il fatto che essa possa essere ritenuta ragionevole, non ne comporta un’accettazione necessaria e comunque in ogni caso chiede, per essere vissuta, forme diverse rispetto a quelle del passato. Sicuramente una delle cose che oggi più osteggia un cammino di fede delle giovani generazioni, viene da una questione riguardo la coerenza che emerge dalle esperienze che vengono loro proposte e da chi le propone. Credere per abitudine, rincorrere pratiche ripetitive, celebrare una fede che tiene fuori la vita non coinvolgendone i sentimenti e gli affetti, oggi non dice più niente all’animo contemporaneo. 
D’altro canto, se la Chiesa come istituzione è spesso criticata, è vero però che viene riconosciuto e stimato l’impegno che a livello territoriale è rivolto alla cura dei giovani, dei poveri, di chi soffre e a coloro che se ne assumono l’impegno, siano essi laici o consacrati. C’è quindi un incerto rapporto con la Chiesa: contrasto a quella istituzionale, sostegno a quella più di “frontiera” e vicina alla propria vita.
Passando per la prova della vita, leggendo le storie di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, guardando al Vangelo e alle prime comunità nascenti intorno ad esso, possiamo affermare che non esiste un’età della vita adatta o meno all’incontro con Gesù. Se proprio un’indicazione dobbiamo darla, la preferenza sembrerebbe andare nei confronti di chi ha ormai un’età adulta, almeno può sembrare così ripercorrendo i tanti incontri che Gesù ha lungo la sua vita. Da questo non voglio però che ne nasca una teoria che escluda o chiuda l’incontro all’interno di una fascia in un qualche modo privilegiata. Innanzitutto esso rimane sempre dono di grazia, gratuito, che non necessità di aver maturato o concluso un qualche cammino educativo o iniziatico al riguardo. Ogni persona lo accoglierà rispondendo liberamente, nella misura delle proprie capacità, secondo una storia concreta sua propria, non standardizzabile.
La fede non è quindi il frutto di un processo di crescita e di maturazione psicologica, non c’è un’età entro la quale o uno ha incontrato Gesù oppure è meglio che lasci perdere, né una dopo la quale uno può stare tranquillo di avercela per sempre. Con questo non voglio neanche negare l’assunto di tanti teologi che giustamente affermano che “la Grazia suppone la natura” e che quindi il dato antropologico occorre venga adeguatamente considerato.
È così allora che per un giovane la ricerca e l’appello che vengono da Gesù passano necessariamente attraverso la domanda riguardo cosa fare della tanta energia e vita che si hanno a disposizione, della prospettiva di un futuro ancora tutto da costruire, di una vita affettiva ancora in strutturazione e così via. 
Crescendo il Signore lo si incontra nella vita, dove l’esperienza della fede assume due forme. Per chi lo ha già incontrato e già ha fatto atto di fede diventa decisivo il carattere esigente del Signore Gesù e della vita alla sua sequela. La tentazione diventa quella di andare via, di mollare. Per chi il Signore deve incontrarlo, proprio la quotidianità appare il luogo dell’incontro più vero con Lui. Lì lo si cerca e lì lo si trova. Lì si decide se credere in Lui o in altro.
Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: "Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?". Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: "Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono". Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: "Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre". Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: "Volete andarvene anche voi?". Gli rispose Simon Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio" (Gv 6,60-69).
La fede stessa esige un tempo di crisi: Il Signore Gesù fa eco: volete andarvene anche voi? In termini teologici: il mistero di Dio e di Cristo è scandaloso e stolto (scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani) e viene il tempo in cui il credente e il non credente si misurano con questa “scandalosità” e questa stoltezza: la crisi della fede. Alla domanda Pietro risponde: “Signore da chi andremo tu solo hai parole di vita eterna!” Che equivale a dire: avessimo trovato di meglio... ma non lo abbiamo trovato e restiamo con te. Una buona risposta per un inizio.
È prudente e onesto che lo spettro della ricerca di Dio si restringa, almeno come prima ipotesi seria. L’estremo ‘basso’ di questo spettro è l’accettazione del Vangelo come propria regola di vita. Non qualcosa d’importante e bello, ma impegno pratico a vivere secondo il vangelo. Circa l’identità del Signore non si hanno ancora idee chiare, ma si accetta dal punto di vista pratico di andargli dietro. L’estremo ‘alto’ è la risposta ‘Tu sei il Figlio di Dio’, alla domanda: “chi dite che io sia?” e la risposta “sì”, all’imperativo: “Seguimi!”

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