mercoledì 5 dicembre 2018

Bocciato! E adesso?

A volte capita, anche dopo speranze basate sull’impegno degli ultimi momenti volto a evitare questo giudizio finale. Sembra che ai ragazzi non interessi più di tanto, minimizzano con un modo di fare un po’ “superiore”. Ma se si va oltre l’apparenza di una certa arroganza, si vede come sotto c’è ben altro. Ci troviamo davanti a un ragazzo che soffre, ferito. Sì la bocciatura è conseguenza di un anno oggettivamente andato male, non c’è niente da dire, però sotto sotto personalmente lo si vive come un fallimento di cui vergognarsi. Per questo non occorre aggiungere dolore a dolore, tenendosi lontani da più o meno impliciti riferimenti al fatto che quanto accaduto possa averci deluso, del resto non siamo noi a essere stati bocciati quindi, per il momento, lasciamo da parte le nostre sofferenze e mettiamo al centro quelle dell’adolescente.
L’impegno è cercare di capire i motivi del perché ci si è arrivati, questo ci permette di decidere anche quale strategia mettere in campo adesso e per il prossimo anno. Qualcosa di storto deve esserci stato, occorre che salti fuori anche se non è mai facile confrontarsi con i propri errori (o quelli del figlio). Evitiamo di nasconderci dietro a facili escamotages, che sicuramente aiutano a placare il dolore, ma non a decidere il meglio da fare. Sì forse gli insegnati sono stati un po’ severi, potevano avvisare prima, noi potevamo stare più attenti, seguirlo di più, ma non può essere solo questo. Qualcosa deve essere andato in modo diverso rispetto i progetti fatti a inizio anno.
Nei casi di problemi scolastici è importante anche allargare l’orizzonte, non sempre viene in mente che il problema potrebbe essere altrove, è sempre rischioso leggere la vita dei nostri adolescenti come fatta un po’ a “fettine”, tanti pezzetti di vita ed esperienze considerate un po’ separate le une dalle altre. Le difficoltà possono essere a casa, nel gruppo di amici, in questioni legate al proprio sviluppo.
Non è semplice per un ragazzo trovarsi a casa da solo, di fronte a un’intera apparecchiata di libri e quaderni, riuscire a darsi un metodo organizzando il proprio studio, soprattutto se il tutto si svolge in un silenzio al quale non sono abituati. Del resto è un po’ così che lo abbiamo cresciuto e voluto: immerso in tante attività di vario genere e in compagnia di tanti amichetti. Proprio per questo, a volte ho assistito a grossi miglioramenti per il solo fatto di aver affiancato a un ragazzo un “tutor”. Lo chiamo così perché non è necessario che sia un luminare delle ripetizioni o tecnico della materia da recuperare, può essere un giovane studente universitario che sta lì con lui, lo aiuta un po’, non si sente solo e lo stimola nell’andare avanti dandosi uno stile. Non dico che sia sempre la soluzione, ma a volte basta. Così come lo studiare in biblioteca o a casa di un amico, cose normali un po’ di tempo fa, oggi meno usate.
E pensare di cambiare scuola? Non è da esclude a priori, però non percorriamo questa strada come automatica, guidati da una sorta di ansia insita in noi adulti che ci spinge a dover per forza fare subito qualcosa sistemando le cose. Certo lo facciamo nella speranza che il ragazzo sia più seguito o possa trovare materie più adatte a lui, ma non è detto che sia la soluzione giusta, in base a quanto detto sopra, dipende dal perché si è arrivati qui. Occorre ricordare che, in certi casi, il cambiare scuola può essere vissuto dall’adolescente come l’aggiungere un fallimento ulteriore a quello già avvenuto con la bocciatura. Senza considerare che la scuola non è solo istruzione, ma sempre di più luogo di relazione che contribuisce al cammino di maturazione.
Sarebbero servite più punizioni durante l’anno? Dipende cosa s’intende, quelle dirette a togliere qualcosa (cellulare, amici, soldi…) possono assumere domesticamente un senso, ma non servono per stimolare l’impegno del ragazzo a fare meglio, diverso è il caso d’interventi che invece richiedono una “riparazione” attiva (aiutare un ragazzo più piccolo, fare volontariato, lavori domestici…).
E la scuola? Potrebbe interessarsi maggiormente di quel numero di alunni, in aumento, che lasciano la scuola non perché svogliati o seguiti male dalla famiglia, ma perché soffrono e si vergognano del loro essere studenti, dei risultati ottenuti e delle delusioni date agli adulti in questo campo. Parliamo del rischio di dispersione scolastica, è una sfida che chiede di rivedere e reinterpretare i criteri di valutazione e di accompagnamento dello studio, perché un ragazzo che soffre, non è meno dotato o capace di uno che è più avvantaggiato da un punto di vista di cammino di maturazione. Per questo sarebbe il caso di rivedere i famosi “tabelloni” di fine anno appesi alle porte della scuola, rischiano di separare i due cammini che la scuola dovrebbe sempre tenere uniti: istruzione ed educazione. Non metto in dubbio che i giudizi dati dagli insegnati siano oggettivamente giusti, ciò che non è giusto è l’umiliazione che si rischia di far provare al giovane. Tutto questo perché non basta comunicare una cosa, occorre anche spiegarne il perché e non darlo per scontato, così anche come fornire sostegni per le materie insufficienti.
E i genitori? Cercare di evitare scene da “fine del mondo” dimenticandosi che il figlio già soffre per quanto accaduto. Non serve però sdrammatizzare troppo, perché in fin dei conti è avvenuta una piccola calamità fonte di delusione. Non usare frasi del tipo “mi ha deluso” o “da te non me lo aspettavo”. Cercare di creare un po’ di distanza dall’accaduto, il giusto che serve per mettersi nei panni del ragazzo e ricordargli che è stato bocciato come studente, non come persona e figlio (e ricordarsi che non è una bocciatura per il genitore). Non si tratta di far finta che la scuola non sia importante, ma considerarla non come l’unica cosa determinante nella vita, cercare di capire i perché di quanto accaduto e pensare insieme cosa fare. 

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