mercoledì 1 agosto 2018

Caparbietà dell’amore: amare sino alla fine

Penso di non esagerare dicendo che tutti gli adulti, se in un qualche modo passano un pezzo della propria vita accanto agli adolescenti, prima o poi un po’ di crisi la passano, io per primo. C’è chi definisce questa fascia giovanile come un’età misteriosa e quasi sospesa, credo che questo sia un pregiudizio che spesso ci porta a fraintenderla così da accostarvisi in modo sbagliato. 
Certo per noi ci possono essere tante cose di difficile interpretazione, ma per un ragazzo la propria vita è molto più luminosa e ricca di senso rispetto a quello che noi vediamo, occorre aver fiducia di questo “qualcosa di più” che nonostante la nostra “esperienza” noi non riusciamo a penetrare, eppure funziona. Siamo un po’ spaventati da una maturità e un equilibrio che non ritroviamo negli adolescenti, esse sono conquiste nostre trovate nel cammino di maturazione, non lo sono ancora per loro e ha un senso che sia così.
In passato si è studiato e lavorato tanto per conoscere meglio il mondo dei ragazzi, per poterlo descrivere rendendolo più comprensibile. Il passo in più che non si è fatto, e se ne sente la mancanza, è il comprendere e aiutare la relazione dell’adulto nei confronti di questo mondo che non è più il suo. Non si è riflettuto abbastanza su come noi possiamo sentirci e quali strategie intraprendere dovendo passare tanto tempo accanto ad adolescenti faticando nel comprenderli. Credo che questa sia una delle più grandi impasse oggi della generazione degli adulti nel relazionarsi con i ragazzi: siamo guidati all’azione da rappresentazioni errate di quanto accade.
Ecco perché volendo parlare e trattare del mondo giovanile, risulta così importante soffermarsi su quello degli adulti. Ci siamo dentro un po’ tutti: genitori, insegnanti, allenatori, educatori, politici, amministratori locali, ecc.
Un primo passo che possiamo compiere è quello di accogliere il ragazzo che ho davanti come un “mistero”, lo dico non per alzare le mani dicendo che allora non si può far niente, ma per far sì che dentro di noi riusciamo a lasciar spazio per ospitare qualcosa che è altro da noi. L’incontro con adolescenti capita che susciti impazienza e disagio, a me invece fa nascere stupore. Di fronte a chi si lamenta per la fatica con la quale si aprono, dei silenzi che mettono a disagio, io so e decido di dare tempo, nel frattempo lavoro sulla mia “crisi”, essa è l’accesso alla compassione per la vita dell’altro.
Una crisi che mi chiede di far tacere le tante precomprensioni che guidano i giudizi e le azioni verso il mondo dei giovani, esse sono troppe numerose nel mondo adulto d’oggi che si appella a un “buon senso” non più capace di decifrare la vita vera. Una crisi che mi chiede di accettare un cammino di povertà, quello di chi si presenta per un compito consapevole di non averne gli strumenti, povertà che permette di far spazio all’altro così com’è evitando di incasellarlo dentro i tanti o pochi stereotipi che non mancano di essere usati rivolgendosi al mondo giovanile: dentro c’è di più. Così la via è quella di arrendersi e accettare che ogni ragazzo è da scoprire così com’è, imparando ad agire di conseguenza, il meglio che si può, mirando in alto. È quell’amore crocifisso di Gesù, che si ostina a donarsi senza arrendersi. Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine(Gv 13,1); è il dono grande che ogni adulto deve ricercare: la caparbietà dell’amore.
Tutto questo, come adulto, mi plasma; così impostata la relazioni mi modella e non è scontato che trovi in noi il desiderio che questo avvenga, così che l’adolescenza diventa un momento di confusione sicuramente per noi.
In questo cammino, accanto al giusto desiderio di autonomia presente in ogni ragazzo, ho scoperto e accolto la sua necessità di trovare un volto adulto, capace di sostenere il contradditorio di chi chiede di essere aiutato a vivere in modo pieno, volte questo chiede semplicemente l’esserci, altre volte un orecchio a cui dire il bene e il male che si sente dentro, sapendo quanto condiviso non verrà banalizzato. Un adulto così è ricercato.  
Attenzione, non confondiamo l’impegno da metterci con la sforzo a vivere per forza come i ragazzi, è meglio essere semplicemente sé stessi con quello che poi ne nasce. Solo così anche chi incontro potrà essere libero di essere chi è.
Quanto scritto presenta un compito che sarebbe chiesto a tanti, ma che forse non tutti sono pronti a vivere, a loro non porto rancore, mi sento solidale nelle fatiche e nelle sconfitte. C’è però chi lo sceglie come una vera e propria missione, accogliendo di farsi carico anche di quanto altri non hanno saputo o potuto fare. Umilmente mi metto tra questi, almeno lì il mio essere prete mi ha condotto in questi anni.

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