giovedì 17 maggio 2018

Specchio delle mie brame: chi è il giovane più bravo del reame?

Mi sono trovato a partecipare a un consiglio pastorale “allargato” in virtù dei temi che sarebbero stati trattati, erano presenti anche dei giovani della parrocchia. L’ultimo tema da trattare prevedeva una riflessione/decisione riguardo a “se fare” o “come fare” la festa che tradizionalmente la comunità organizzava per diversi giorni a conclusione dell’estate.
Sono emerse tante fatiche, forse solo quelle e poco le gioie e i valori legati a quella che non è solo una occasione per mangiare ma per costruire una comunità (ma questo è un altro argomento che lascio subito). Alcune decisioni erano già state prese in un incontro precedente fatto domenica mattina alle nove. Può essere vero che se ci tieni a una cosa ti organizzi e fai in modo di andarci, ma di certo il momento scelto non facilita la partecipazione di tanti, giovani compresi che scelgono di fare altro la sera precedente. Se poi ci mettiamo che gli appuntamenti bisogna dirglieli e ridirglieli non sempre molto pronti a rispondere a diversi appelli degli adulti, il gioco è fatto. Dico che come adulti certe cose potremmo prevederle, poi facciamo come vogliamo, senza cadere però poi giù dal pero quando il tutto si realizza.
Giustamente l’incontro si è fatto, decisioni sono state prese, quindi ora comunicate. Noi adulti siamo un po’ permalosetti, lo sono anche i giovani: occorre stare attenti a come si dicono le cose. A mio parere questa sensibilità mancò. Vennero fatte notare anche tutta un serie di cose accadute chiedendo ai giovani di essere maturi, responsabili; un appello che poteva essere anche educativo, se non fosse che al di sotto erano presenti delle precomprensioni o pregiudizi errati che spesso accompagnano i ragionamenti fatti da noi adulti. Venne loro detto che erano grandi e che quindi dovevano fare, pulire, andare e così via. Mi chiedo, da adulto: stiamo parlando con i giovani veri o con quelli dei nostri sogni?
Da prete, amico delle giovani generazioni e studioso del mondo giovanile, mi permetto di chiarire alcune cose oggettive e la mia interpretazioni di alcuni aspetti che il cambio generazionale si sta portando dietro. Non voglio scrivere un trattato quindi sarò sintetico e rimanderò se lo vorrete ad altri approfondimenti.
C’è un dato di fatto, le neuroscienze in quest’ultimo decennio hanno maturato la consapevole, grazie a recenti studi e strumenti che ora permettono di farlo, che il cervello giunge a maturazione intorno ai 25 anni. Fino ad allora c’è un gran “casino” dentro, non tutto funziona come dovrebbe o ci aspetteremmo che dovrebbe funzionare, chi desidera approfondire la cosa può leggere due miei articoli[1]
Quindi a 25 anni tutto finito e a posto? No, perché non sempre c’è allineamento tra dato biologico e sviluppo psichico, non sono solo i geni e le cellule che ci fanno essere quello che siamo, c’è tutto un passato un presente e un futuro che guida il nostro sviluppo, il nostro essere unici.
Non voglio cadere in un riduzionismo biologico o psichico della persona umana, sono ben consapevole da cristiano che c’è in noi la presenza della Grazia capace di portarci ben al di là di dove possiamo arrivare con le nostre sole forze. Non voglio neanche fare di tutta l’erba un fascio, generalizzando e chiudendo dentro categorie ristrette i nostri giovani verso i quali provo una grande fiducia e stima.
Forse dirò una cosa scontata, ma nei fatti la vedo non rispettata. Non ci si può aspettare che un sedicenne, un diciottenne e neanche un ventenne si comporti in modo maturo. Mi chiarisco subito, non voglio dire che non lo si deve aiutare ad assumere comportamenti giusti e maturi, ma considerare che non lo è ancora e che questo chiede ancora la nostra presenza accanto a loro. 
Non sono adulti, sono giovani; non sono maturi, sono immaturi, non lo dico come giudizio di valore ma come consapevolezza che ci deve aiutare a capire.
Se ci aspettiamo che dicendo loro di lasciare tutto in ordine e pulito ciò venga fatto visto che noi adulti lo facciamo regolarmente, ci creiamo delle aspettative errate, non sto dicendo che va bene se lasciano sporco, non dico di non farglielo presente, ma non aspettiamoci che subito e solo perché glielo diciamo questo magicamente avvenga. Dico: come adulti di non stupirci di certi comportamenti.
Occorre fidarsi dei giovani? Sì. Bisogna dare loro responsabilità? Sì, anche a volte al di là delle loro possibilità. Ma occorre esserci come adulti perché loro ne hanno ancora bisogno. 
La riflessione e la ricerca che recentemente sto portando avanti riguarda anche questo ambito. Io credo che ci sia ancora molto bisogno di adulti significativi accanto alle giovani generazioni, che siano un errore i movimenti (anche presenti nella Chiesa) che spingono perché siano i giovani a educare i ragazzi. Non nego la vicinanza di sensibilità tra generazioni vicine, ma dico che servono adulti presenti, con uno stile nuovo diverso dal passato.
Durante la discussione emerge la proposta di affidare la gestione della birreria in toto ai giovani, credo sia una scelta legittima e bella, ma come adulti dobbiamo anche accogliere e accettare che questa sfida non si realizzerà secondo criteri di maturità con i quali portiamo avanti noi le cose, che dovremo intervenire, insistere su certe cose, vigilare, supportare… insomma una gran fatica che è quella dell’educare. 
Aspettarsi che sia facile per i giovani ventenni guidare e coinvolgere gli adolescenti, che sappiano organizzarsi e gestirsi, che siano responsabili e sempre presenti… non dico siano aspettative sbagliate, ma occorre sapere che non sono adulti e sono cose che a volte neanche gli adulti riescono a fare, lo faranno come può farlo un giovane e non come ce lo immaginammo noi. Ripeto: con questo non voglio dire che se le cose vengono fatte male va bene lo stesso, ma occorre prevenire, supportare e sopportare certe cose da adulti quali siamo, in modo un po’ meno permaloso. Occorre esserci per dirglielo, farglielo vedere, ridirglielo, farlo con loro e ancora ricominciare da capo. Un processo mai finito, perché passati questi arrivano altri giovani con i quali occorre ricominciare sempre e di nuovo. Faticoso, ma anche tanto bello.
Ripeto, servono figure adulte presenti e attente un po’ come due educatori adulti della parrocchia che stanno affiancando un gruppo di adolescenti nel preparare delle feste in salone, su questo ho già scritto in un altro articolo a cui vi rimando[2], che ci aiuta anche a riflettere partendo dalla figura biblica di Eleazaro (cfr. 2Mac 6,18-31).
Così affidiamo pure la birreria ai giovani, ma occorre ugualmente che ci siano delle figure adulte capaci di stare dietro le quinte, un posto spesso molto scomodo e non adatto a tutti, per intervenire quando c’è bisogno o anticipando (prevenendo: metodo preventivo di don Bosco) lì dove uno sguardo da adulti vede certe cose e non ci si può aspettare che dei ragazzi ci riescono. Al momento giusto tirarsi indietro dando tutto a loro il merito. 
Questo, un po’ brevemente, un misto tra dati di fatto e dove la mia ricerca mi sta portando. Sono un po’ dispiaciuto di alcune parole affrettate uscite durante l’incontro, perché da adulti mi aspetto molta più attenzione al riguardo, anche perché i giovani sono un po’ permalosi (e ha un senso che lo siano alla loro età) un po’ meno che lo siamo noi alla nostra.

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