martedì 8 maggio 2018

Adulti: allenatori nella vita dei ragazzi

Durate un incontro di formazione e condivisione fra capi scout, come capita tante altre volte quanto si parla del nostro rapporto con i ragazzi più giovani, sono emerse prima delle gioie le difficoltà che ci si trova ad affrontare nel servizio alle giovani generazioni. La complessità a interpretare il mondo e il vissuto dei ragazzi, le aspettative belle ma non sempre realistiche, un po’ di sana suscettibilità che non è in sé sbagliata, hanno portato a uno stallo nell’affrontare le questioni che emergevano. Credo opportuno non dare soluzioni, ma possiamo aiutarci a entrare in un senso nuovo di quanto condiviso.
Forse troppe volte ci aspettiamo adolescenti capaci di esprimere a parole il proprio dolore, la fatica, i sogni, gli spiriti interiori che lo perseguitano, ma non è così. È un presupposto che rischia di metterci fuori strada. Occorre invece aspettarsi di vedere adolescenti rabbiosi, ostili, aggressivi, provocatori. Lo dico non per essere disfattista, ma innamorato dei giovani, quelli veri, non quelli dei nostri sogni.
I ragazzi sono dei perdenti, non nel senso che sono dei falliti, ma che stanno perdendo quello che erano prima (infanzia) senza poter subito riempire il vuoto che si crea con qualcosa di sicuro. È come durante una partita di calcio, nei primi cinque minuti ti fanno tre gol e ti trovi improvvisamente a passare dal sogno di quando tutto andava bene e sembrava possibile, alla fatica di star perdendo. Non è però tutto finito, come si gioca il resto della partita può fare la differenza, ma sarà una gran lotta! 
L’adolescenza è il tempo della rimonta, faticosa, non scontata, dove ti viene voglia di mollare tutto, durante la quale se non cambi la formazione in campo rischi di non farcela, ci sono alcuni cambiamenti (sostituzioni) da fare. Ci vogliono dei bravi allenatori che diano una mano alla squadra a vincere, persone non in campo (perché il campo della vita è dei ragazzi e chi educa non può entrarvi sostituendoli nel gioco) che sostengano il momento di perdita e di lutto attraversato.
Cosa chiede un ragazzo in rivolta all’adulto che lo accompagna? Non le coccole di chi vuole dimostrare di comprenderlo, né l’accettazione silenziosa di comportamenti provocatori, ma accettare la sfida di camminare insieme condividendo la fatica e accettare che anche noi adulti ed “esperti” abbiamo l’occasione per crescere, per riprendere in mano i propri ideali di perfezione per rivederli e così accettare i limiti dei ragazzi perché devo farlo anche con i miei.
I rapidi e fastidiosi cambiamenti di umore dei ragazzi che ben tutti noi conosciamo, sono segno di una lotta interiore, di una ricerca in corso sulla verità di sé, all’improvviso gli è scappato quello che finora pensava di sé, non sente più vere le verità dell’infanzia, le rassicurazioni di papà e mamma. Questo lo dico per spiegare che non c’è in realtà incoerenza dietro ai cambiamenti improvvisi dei quali siamo spesso spettatori inermi.
Sì, a volte sembra che i nostri ragazzi non siano più interessati a nulla, che niente vada bene per loro, quello fatto prima viene denunciato come spazzatura, eppure gli era piaciuto. Diventano così apatici che neanche a stuzzicarli reagiscono. Non me ne frega niente, non m’interessa, non mi piace: sono i ritornelli che spesso ci sentiamo dire. Non sono diventati improvvisamente depressi o menefreghisti, è che tutte le energie che hanno, sono occupate nel tentativo di sopravvivere a tanti casini che ormai noi adulti ci siamo dimenticati e che in ogni caso non sono più quelli che abbiamo passato noi. Se anche un ragazzo è fermo per ore a guardare il soffitto, non vuol dire che sotto non si stia costruendo qualcosa, sono molto più occupati di come ci appare. È veramente un dramma grosso non sapere più chi si è e non sapere cosa si diventerà. C’è veramente da impazzirci sopra. E non è neanche scontato che un ragazzo voglia essere aiutato, non per questo dobbiamo tirarci indietro, ma vivere da adulti quest’ulteriore fatica.
Quello che scrivo non toglie nulla alla fatica di chi educa. Allora perché lo dico? Per dare un senso diverso a quanto accade, uno sguardo nuovo che credo più capace di supportare l’azione educativa. Un po’ come il Vangelo: non è la soluzione magica ai problemi delle persone, di tante cose non trovi una risposta esplicita nella Parola, ci trovi però un senso nuovo che da sapore diverso alle cose, può darti la forza, la speranze, un orizzonte di senso che ti rende capace di farti portatore di qualcosa che da solo non saresti riuscito a fare. È la compagnia di Dio che si fa uomo in Gesù e accompagna l’umanità nel cammino faticoso della vita. 

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