C’è una domanda che prima poi arriva nella vita di ogni
giovane: cosa farò da grande? Un appello tutt’altro che scontato nella sua
soluzione. Ho incontro ragazzi un po’ di tutti i tipi: c’è chi è andato
all’estero, altri in un progetto nel terzo mondo, qualcuno si è seduto
aspettando che qualcosa succedesse, chi ne prova una ogni anno; sono tutte
esemplificazioni per dire come le soluzioni adottate da ciascuno siano
svariate, ma cosa c’è in comune?
Emerge spesso una paura che unisce figli e genitori, i primi
di non saper come saltarci fuori da un periodo di vita così incasinato come
quello dell’adolescenza, i secondi di non sapere come aiutarli a uscire da modi
di fare che si concretizzano nel rimanere ancorati troppo al presente.
La capacità di sperare, grande virtù umana e specificamente
cristiana, porta a vedere un futuro e credere che in esso si potranno
realizzare i sogni che adesso porto nel cuore. Questa speranza porta alla
necessaria serenità che mi permette oggi di darmi da fare per sperimentare
tante cose, anche diverse tra loro, sapendo di poter trovare quella giusta, e
nel frattempo continuare ad aver cura di tutta una serie di relazioni che
saranno necessarie, infatti non conta solo il “cosa” fare ma anche il “con chi”
o “accanto a chi” farlo.
Credo che se in tante parti dell’Europa, le cronache ci
riferiscono di gruppi di giovani che attuano azioni violente nei confronti
della comunità, piuttosto che a costruirsi attraverso l’impegno personale
qualcosa per il domani, una delle motivazioni è che questi ragazzi sentono
morto il proprio futuro, gli viene l’impeto di protestare e far qualcosa per
vedere se riescono a risvegliarlo, come non lo sanno neanche loro di preciso.
Capita che siano figli d’immigrati ai quali però si tarda a
riconoscere la cittadinanza con le tutele conseguenti, che non vivono più un
cammino scolastico e che le istituzioni formative hanno messo da parte, non
trovano lavoro; sono giovani privati del futuro che provano ad accendere roghi
di varia natura, per comunicare la cosa e richiamare l’attenzione di quanti
come loro vivono la stessa cosa. Questo fenomeno mi sembra di poterlo vedere, a
suo modo, anche fuori dai paesi occidentali e in un qualche luogo è servito a
suscitare qualcosa di nuovo, anche se non sempre poi quanto di più moderno
sopraggiunto è riuscito a dare risposte coerenti a quanti lo avevano fatto
nascere.
Capita però che il mondo adulto si lasci spaventare dalla
forza di queste manifestazioni, non riuscendo a dare un nome al bisogno sottostante,
questo porta inevitabilmente a un fraintendimento reciproco che porta
all’esplosione della violenza.
Assieme al futuro muore la speranza, assieme alla speranza
muore il piacere vi vivere e di crescere, di decidere cosa si vuole fare ed
essere; è così che anche il presente viene toccato da questo alito di tormento,
da qui nasce una grande sofferenza personale fino a ritenersi non degni di
essere accolti per quello che si è. Rimane solo di restare a guardare un mondo
occupato e portato avanti da altri, adulti e anziani, che si sono presi tutto.
Occorre non lasciare perdere, quanto scritto non né per
giustificare né per colpevolizzare, ma per aiutare chiunque ne abbia il
compito, per natura per scelta o per lavoro, a comprendere la relazione che i
giovani hanno con la dimensione del proprio futuro. Questa riflessione dovrebbe
essere centrale per quanti pianificano le politiche sociali, per chi nella
Chiesa pensa e organizza le scelte centrali della pastorale giovanile, perché
il tutto possa entrare e contagiare il processo di rinnovamento del servizio
fornito dalle diverse istituzione dedite all’istruzione.
Cosa farà da grande? È la domanda che anche i genitori si
pongono, a volte ci beccano, ma spesso crescendo si diventa diversi da quanto
sognato da altri, probabilmente come si è sempre saputo di dovere essere. A
volte può capitare che un ragazzo non capisca cosa fare, qualcosa si inventerà,
anche solo copiando altri o perché no inventandosi un proprio ruolo.
Nel Vangelo (cfr. Lc 24,13-35) incontriamo due persone il
cui futuro è morto e si trovano a non sapere bene cosa fare ora, se non
ripercorrere a ritroso il cammino fatto fino ad ora per tornare e rimanere nel
passato. A sentire loro ci avevano sperato tanto in quel maestro che un giorno
aveva incrociato la loro strada, avevano risposto totalmente e con entusiasmo
lasciando quello che avevano per seguirlo, erano veramente convinti che quanto
proponeva era la via per realizzare le attese e desideri di felicità propri e
di un intero popolo che era in atteso del Messia.
Un giorno però Gesù viene ucciso in croce, un evento che
senza far finire tutto, con lui muore il futuro e la speranza di questi due
amici di Emmaus. Si dissero l’un l’altro che era stato tutto molto bello, ma
solo un sogno”, da essi prima o poi ci si sveglia, del resto qualcuno glielo
aveva anche detto. Non rimaneva che tornarsene a casa, a quella vita alla quale
non pensavano più e che ormai per loro non era neanche più vita!
A un certo punto un viandante si fa loro incontro e
condivide la strada, si accorge della loro faccia lunga, di quanto erano
tristi. In effetti venivano proprio da un funerale, non era solo quello di
Gesù, ma anche quello dei propri progetti ormai sepolti. Quello che fa ancora
più male è che Gesù era stato messo in croce dai romani, ma con la
collaborazione dei capi del popolo, coloro che avevano un compito di guida e di
riferimento avevano contribuire a rovinare e distruggere le speranza di tanti.
Eppure sembra che non tutto sia finito per tutti,
riconoscono che ci sono state alcune donne che lo hanno visto vivo. Quanto è
importate che ci siano persone che tengano duro non solo per sé ma anche per
gli altri, forse poche, ma con il compito di un messaggio per tutti, di una
risurrezione di futuro e di vita. Ma non è facile crederci, così i nostri due
amici hanno lasciato perdere.
Come fare allora per aiutarli a fidarsi che non tutto è
perso? Il viandante loro compagno di viaggio, li aiuta a non fermarsi solo
all’apparenza, così mentre il cammino avanza, altrettanto fa la Parola verso la
loro vita per ritrovarvi posto; ripartendo da parole passate, ma tutt’ora vive
e presenti, parla di colui che non è morto ma vivo. Si accorgono, perché lo
sentono dentro, che la loro speranza non è stata uccisa del tutto.
Hanno ucciso Gesù, ma non hanno vinto; hanno provato a
uccidere il nostro futuro ma non ci sono riusciti. L’esperienza fatta nella
vita non può essere cancellata, così quella dei due di Emmaus, così quella dei
nostri giovani.
Per ora basta, nel prossimo articolo ci soffermeremo proprio
al punto della questione: come rendere più autentica la speranza per
riaccendere il futuro.
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