Oggi i ragazzi vengono cresciuti fin da piccoli
spinti per realizzarsi nel successo, che sia quello scolastico, sportivo,
relazionale o così via poca differenza fa; questo chiede di investire su
dimensioni che diano visibilità e una posizione che permetta agli altri di
notarlo, ci si rispecchia infatti nel riconoscimento dato dagli altri. Forse
detta così può suonarci male, ma come adulti siamo di fatto noi i primi autori
di questo modo con cui gira il mondo e delle istanze a cui i ragazzi sono
esposti ancora prima dell’adolescenza e che contribuisco a renderla così com’è.
Noi puntiamo su sport, scuola, immagine, soldi,
fama; i ragazzi alla fine dei conti preferiscono perseguire il tutto attraverso
quella che diventa una vera e propria nuova famiglia sociale: quella del gruppo
di amici, dei propri coetanei scelti autonomamente.
Scuola, per i greci “scholè”, significava tempo
libero; per i Romani “ludus” cioè gioco; oggi non è più così, forse è il
termine obbligo (visto anche il triste “obbligo scolastico”) che lo rappresenta
meglio. Lo sport, la musica e altre attività hanno poi preso il significato di
“tempo libero”, ma non è più così, sono sempre di più i ragazzi che finito
l’allenamento vengono in oratorio a continuare lo stesso sport finalmente come
vogliono loro e non come dice l’allenatore. Oggi il “tempo libero” lo si vive
con il proprio gruppo informale, a far cosa, non è poi così importante, ciò che
conta è essere insieme, questo lo vedo in prima persona nei tanti momenti
formativi o di festa che organizzo in oratorio e nei diversi gruppi formativi.
Da quanto detto si può ricavare che non sempre i
luoghi e i momenti pensati per i giovani sono capaci di sostenere il processo
di separazione e di crescita, a volte neanche di intercettare il loro desiderio
di socializzazione; cominciano così ad andare in crisi vocazionale e di
frequenza quei luoghi fino ad ora pensati per loro, compresi anche gli oratori
e i cammini classici come strumenti per creare alleanze sostenute da
indicazione etiche condivise in un cammino.
Oggi il compito di occupare il tempo libero, di
dare identità e soluzione al problema della noia e della solitudine (questioni
molto sentite dai nostri ragazzi) è attribuito al tempo trascorso nel gruppo
spontaneo creatosi al di là del desiderio dei genitori, della frequentazione
della stessa classe o dell’allenamento o di altri gruppi strutturali
frequentati quali anche quelli parrocchiali. Rischiando di ripetermi desidero
sottolineare che quanto detto spiega come siano messe in crisi le istituzioni
educative parrocchiali che tanto si fanno ancora carico di proporre iniziative
di animazione e formazione per i più giovani.
Ciò che è di aiuto nel processo di maturazione e di
separazione dalla famiglia, è anche possibile fonte di problemi in ambito educativo;
il forte potere e legame che si instaura nel gruppo spontaneo di coetanei, nel
caso vengano scelti, favorisce l’attuarsi possibile di comportamenti a rischio.
Questo aspetto è spesso fonte di preoccupazione e tensione per i genitori, i
quali desiderano giustamente essere informati delle cose che accadono e delle
frequentazioni instaurate, quando questo non capita scattano meccanismi di
controllo che portano solitamente a una “guerriglia” domestica che arriva fino
a sfociare in pedinamenti da una parte e fughe dall’altra. Un modo sano per
gestire il tutto dovrebbe essere quello, non semplice, della contrattazione;
dico non semplice perché entrambi gli interlocutori sono chiamati a rinunciare
a una parte del proprio progetto ideale per accogliere come valida, o almeno
possibile, quella dell’altro.
Per quanto riguarda l’ambito famigliare credo
interessante, come suggerito da Gustavo Pietropolli Charmet, una riscoperta
delle figure dei nonni. Il gruppo dei coetanei compie l’inevitabile inizio
graduale di allontanamento dalla famiglia, offrire un altro luogo e una diversa
relazione per integrare questo cammino può essere di aiuto. Il ritrovarsi a
mangiare a casa dei nonni, casomai di domenica, riunendo così le diverse
generazioni, aiuta da una parte il ragazzo nella separazione dall’ambito della
famiglia di origine e dall’altro il mantenersi del legame stesso. Manca però
qualcuno, ricordo come per un giovane ci sia una doppia appartenenza
famigliare, c’è quella d’origine ma anche quella sociale composta da quel
gruppo ristretto di coetanei con cui si è scelto di condivide la propria
crescita; l’ideale sarebbe che la famiglia riunita in una veste nuova intorno
ai nonni, si aprisse anche alla famiglia sociale dei coetanei, si realizzerebbe
così un ideale incontro e sintesi tra le diverse relazioni che creano
appartenenza in un adolescente, con la possibilità di incontrarsi, conoscersi e
contrattare sui nuovi riferimenti morali.
Dal punto di vista del ripensare le proposte della
parrocchia, alla luce di quanto detto fino ad ora, occorre puntare lavorando
molto sul creare amicizia fra i ragazzi; il cercare coesione solo intorno a
certi valori ha perso di mordente come perno per tenere uniti i giovani e
permetter loro così di far proprie certe dimensioni della fede. Da sempre, e
forse mai come oggi, l’amicizia può diventare il canale attraverso il quale
riuscire ad arrivare al cuore dei ragazzi, correggendo le storture del mondo e
proponendo loro l’alternativa possibile della bella notizia di Gesù. Questo
comporta certamente il mettere in conto anche dei rischi derivanti da un
criterio di appartenenza non governabile da noi e diverso in ogni persona, un
ripensamento dei gruppi con una divisione non necessariamente per età ma per
scelta reciproca, camminando non con pochi grandi gruppi ma capillarmente con
tanti e piccoli, insieme a tanti altri sviluppi meriterebbero una riflessione
molto più approfondita che non questo mio semplice “lancio di un sasso” che ha
lo scopo solo di muovere le acque.
Nessun commento:
Posta un commento