venerdì 8 agosto 2014

Prima la persona poi i contenuti

Qualche giorno fa, al rientro di un gruppo di adolescenti da una esperienza estiva, la madre di un ragazzo mi ringraziava per la possibilità che avevamo dato a suo figlio di parteciparvi nonostante non avesse seguito l’itinerario annuale di gruppo, così come di averlo accolto durante la settimana di vita comunitaria fatta in primavera. Ho accettato volentieri questo ringraziamento nonostante dentro di me non sentissi di esserne in debito, infatti come ho cercato di comunicare loro credo che sia inevitabile offrire cammini differenziati e diverse soglie di ingresso ai ragazzi considerando le loro concrete aspirazioni; non credo debba esistere uno standard uguale per tutti, ma una accoglienza che sia tale. Desidero però approfondire un attimo la questione.
Oggi capita spesso di assistere nel campo dell’educazione alla fede a una forte istanza che mira a personalizzare il proprio cammino indirizzandolo a un ambito molto soggettivo; ci stiamo di fatto allontanando da una visione passata che veniva impostata prevalentemente verso un riferimento oggettivo agli insegnamenti della Chiesa. Sono nati così vari attributi riferiti ai giovani del tipo: non vanno più a messa, non conoscono la Bibbia, non sanno chi è Dio (nel senso di contenuti da catechismo); per rimediare c’è chi punta fortemente a una evangelizzazione centrata sul far recuperare questo dato ormai perso. Credo che pur rimanendo questo importante, non sia adeguato rispondere alla ricerca delle giovani generazioni nata da una istanza soggettiva opponendo quella oggettiva, mi sembra di voler chiudere un contenitore rotondo con un coperchio quadrato.
Credo che l’errore non sia tanto nel voler rimanere fedeli alla Tradizione e agli insegnamenti della Chiesa, essi rimangono tuttora validi e necessari, ci parlano di una fede non solo nostra, ci legano alle altre comunità sparse nel mondo e a una fedeltà che ci rende vicini a Gesù e al suo evento di salvezza così come si è manifestato nella storia, continuando poi con gli apostoli e le prime comunità cristiane. Proprio perché questa dimensione risulta così determinante per la crescita e l’educazione alla fede, essa non può limitarsi ad essere un semplice imparare a memoria cose dette da altri. In un contesto complicato come quello attuale spesso siamo portati a vivere degli estremi, l’ideale non è sempre praticabile, occorre spesso fare delle scelte di campo cercando di fare il meglio che si può; capita a volte di aver di fronte due aspetti determinanti del cammino che sono i contenuti e la persona, nel caso si sia messi alle strette credo si debba scegliere la seconda, sapendo che l’ideale sarebbe trovare un equilibrio praticabile ma purtroppo non sempre raggiungibile.
Sognando e lavorando affinchè questo equilibrio possa esistere ed essere perseguito, credo opportuno che riguardo a quelle parole di altri che vengono insegnate, esse siano adeguatamente lavorate e inserite in un cammino che le faccia diventare le “mie parole” e non più solo quelle di un altro. Occorre insegnare ad usarle non solo in modo giusto, ma perché vengano comprese, rielaborate e possibilmente anche riespresse con parole nuove.
Un ulteriore aspetto che mi è già capitato di trattare in un altro mio intervento riguarda il prendere coscienza che oggi una cosa diventa per me significativa non innanzitutto perché vera, ma perché centrale per la mia vita; possiamo trovarci d’accordo sul fatto che non sia un approccio ideale, ma non possiamo far finta che non sia così e continuare ad andare avanti ciecamente. Ecco l’importanza di un annuncio che sappia coniugare verità e al contempo rivoltare la vita, in questa direzione vanno certamente tante delle proposte ed esperienze varie promosse in ambito pastorale.
Credo che le conclusioni per chi è impegnato nel campo dell’educazione alla fede si possano trarre da sé, e questo possa aiutare anche chi vive il proprio servizio in situazioni difficili.

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