Ad inizio di ogni anno pastorale ci si trova a dover pensare
ai cammini da fare con i giovani, quali contenuti trasmettere, come farlo, e
così via. Posto che servirebbe un itinerario previsto e capace di non trovarci
impreparati ad affrontare questa partenza, desidero ora esaminare la questione
da un altro punto di vista che non è primariamente quello dei ragazzi (nel
senso di cosa dire loro), ma degli educatori (come sostenerli e individuare di
cosa hanno maggiormente bisogno).
Credo che la ricetta nell’educazione alla fede dei giovani
sia molto semplice, non altrettanto lo è il metterla in pratica: voler loro
bene, aver tempo da spendere, sostenerli nei loro problemi, condividere le loro
gioie, parlare loro di Gesù.
Dicevo non semplice da mettere in pratica perché vedo due
difficoltà: primo è il far quanto detto sopra con adolescenti non sempre ben
disposti e un po’ incasinati in una vita non semplice di cui noi ormai ci siamo
già dimenticati; secondo è che per parlare di Gesù occorre conoscerlo e averlo
incontrato.
Il primo problema sopra delineato risulta molto amplio e
complesso, ossia tanto quanti sono i giovani con cui abbiamo a che fare,
infatti ogni caso è a parte se pur alcune tendenze si possono individuare. Non
è semplice per un adulto o un giovane educatore stare accanto a un adolescente,
non è semplice misurare esigenza insieme ad accoglienza, aspettare i loro tempi
e non usare i nostri, accettare la sconfitta e la fuga, non è sempre semplice
amarli e perdonarli, e così via per tante dinamiche che pongono in primo piano
la distanza tra noi e i ragazzi e il cammino di avvicinamento da dover fare che
penso non avverrà mai del tutto; un piccolo incoraggiamento riguardo
quest’ultimo aspetto è che di fatto esiste una maggiore distanza ad inizio
adolescenza destinata poi ad accorciarsi con il procedere verso l’età adulta. Quanto
detto fino ad ora riguardo questa prima difficoltà la reputo qualcosa di molto
rilevante, tante volte un educatore agisce in buona fede e neanche si accorge
di un approccio umanamente non corretto, non capace di predisporsi
all’incontro. Un primo passo è aiutare chi accompagna i ragazzi a rendersene
conto; il passo successivo sarebbe il cambiare atteggiamento adottano quello
giusto, questo però non è per tutti in quanto molto legato alla capacità di
cambiare il proprio stile e anche a doni particolari non appartenenti a tutti,
è quindi un aspetto non esigibile a tutti mentre lo è la prima parte che mira a
rendere gli educatori coscienti di queste dinamiche. Pertanto alla domanda di
un educatore che chiedesse “che cosa posso fare” riguardo una situazione simile
che lo chiamasse in causa, occorre che prendiamo consapevolezza che non
necessariamente c’è una risposta che risolva la questione, tante volte rimane
da insegnar loro ad abitare la situazione accogliendo quando essa offre, questo
non è di per sé un limite ad essere educatori infatti rappresenta la maggior
parte delle situazioni nelle quali si trovano genitori, allenatori, insegnati
ed educatori. Occorre pertanto soffermarsi molto sullo svelare certe dinamiche
aiutando gli educatori a viverci dentro rimando educatori anche nella
difficoltà di non poter gestire tutto e di non poter sempre cambiare se stessi.
“Cosa posso fare?” Rimani educatore anche nelle difficoltà, non abbandonare la
barca e continua ad abitare la situazione difficile, continua nonostante tutto,
come puoi, questo basta.
La seconda questione che riguarda del parlare di Gesù ai
giovani, richiede innanzitutto di conoscerlo e di averlo incontrato. La prima
dimensione è programmabile la seconda no in quanto non riguarda solo noi ma un
cammino di incontro da fare insieme a Gesù. Occorre pertanto una duplice
attenzione: da una parte occorre che l’educatore familiarizzi con la figura di
Gesù, conosca la sua vita e le sue parole insieme ai gesti che le accompagnano,
lo Spirito che guidava il suo agire, una conoscenza non accademica ma tale da
poter essere raccontata e portata nella vita degli altri, una conoscenza non
didattica e ripetitiva ma pronta a entrare in azione lì dove si apre la vita
del giovane; la seconda parte della questione è assai più complicata in quanto
l’incontro con Gesù prescinde dalla sola nostra volontà pur richiedendo un cammino
personale e personalizzato, quando questo incontro avviene la vita cambia così
tanto che essa stessa diventa capace di parlare di Dio così come avveniva con
la vita di Gesù; l’incontro con Gesù pur rimanendo la meta di ogni cammino
cristiano non può essere pretesa a chi accompagna mentre può essere richiesto
il cammino necessario per renderlo possibile.
Sintetizzando a punti quanto emerge da quanto detto, le attenzioni da avere nell’ottica di aiutare gli educatori realizzare la propria chiamata prevedono: rendersi conto delle dinamiche umane che entrano in gioco nella relazione con un adolescente e della distanza che sempre rimane e che rappresenta un luogo da abitare e non da abbandonare, conoscere Gesù per saperlo raccontare narrandolo nella vita del ragazzo, vivere un proprio cammino di fede personale in cammino verso l’incontro con Gesù.
Sintetizzando a punti quanto emerge da quanto detto, le attenzioni da avere nell’ottica di aiutare gli educatori realizzare la propria chiamata prevedono: rendersi conto delle dinamiche umane che entrano in gioco nella relazione con un adolescente e della distanza che sempre rimane e che rappresenta un luogo da abitare e non da abbandonare, conoscere Gesù per saperlo raccontare narrandolo nella vita del ragazzo, vivere un proprio cammino di fede personale in cammino verso l’incontro con Gesù.
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