martedì 26 agosto 2014

Formare gli educatori dei giovani

Ad inizio di ogni anno pastorale ci si trova a dover pensare ai cammini da fare con i giovani, quali contenuti trasmettere, come farlo, e così via. Posto che servirebbe un itinerario previsto e capace di non trovarci impreparati ad affrontare questa partenza, desidero ora esaminare la questione da un altro punto di vista che non è primariamente quello dei ragazzi (nel senso di cosa dire loro), ma degli educatori (come sostenerli e individuare di cosa hanno maggiormente bisogno).
Credo che la ricetta nell’educazione alla fede dei giovani sia molto semplice, non altrettanto lo è il metterla in pratica: voler loro bene, aver tempo da spendere, sostenerli nei loro problemi, condividere le loro gioie, parlare loro di Gesù.
Dicevo non semplice da mettere in pratica perché vedo due difficoltà: primo è il far quanto detto sopra con adolescenti non sempre ben disposti e un po’ incasinati in una vita non semplice di cui noi ormai ci siamo già dimenticati; secondo è che per parlare di Gesù occorre conoscerlo e averlo incontrato.
Il primo problema sopra delineato risulta molto amplio e complesso, ossia tanto quanti sono i giovani con cui abbiamo a che fare, infatti ogni caso è a parte se pur alcune tendenze si possono individuare. Non è semplice per un adulto o un giovane educatore stare accanto a un adolescente, non è semplice misurare esigenza insieme ad accoglienza, aspettare i loro tempi e non usare i nostri, accettare la sconfitta e la fuga, non è sempre semplice amarli e perdonarli, e così via per tante dinamiche che pongono in primo piano la distanza tra noi e i ragazzi e il cammino di avvicinamento da dover fare che penso non avverrà mai del tutto; un piccolo incoraggiamento riguardo quest’ultimo aspetto è che di fatto esiste una maggiore distanza ad inizio adolescenza destinata poi ad accorciarsi con il procedere verso l’età adulta. Quanto detto fino ad ora riguardo questa prima difficoltà la reputo qualcosa di molto rilevante, tante volte un educatore agisce in buona fede e neanche si accorge di un approccio umanamente non corretto, non capace di predisporsi all’incontro. Un primo passo è aiutare chi accompagna i ragazzi a rendersene conto; il passo successivo sarebbe il cambiare atteggiamento adottano quello giusto, questo però non è per tutti in quanto molto legato alla capacità di cambiare il proprio stile e anche a doni particolari non appartenenti a tutti, è quindi un aspetto non esigibile a tutti mentre lo è la prima parte che mira a rendere gli educatori coscienti di queste dinamiche. Pertanto alla domanda di un educatore che chiedesse “che cosa posso fare” riguardo una situazione simile che lo chiamasse in causa, occorre che prendiamo consapevolezza che non necessariamente c’è una risposta che risolva la questione, tante volte rimane da insegnar loro ad abitare la situazione accogliendo quando essa offre, questo non è di per sé un limite ad essere educatori infatti rappresenta la maggior parte delle situazioni nelle quali si trovano genitori, allenatori, insegnati ed educatori. Occorre pertanto soffermarsi molto sullo svelare certe dinamiche aiutando gli educatori a viverci dentro rimando educatori anche nella difficoltà di non poter gestire tutto e di non poter sempre cambiare se stessi. “Cosa posso fare?” Rimani educatore anche nelle difficoltà, non abbandonare la barca e continua ad abitare la situazione difficile, continua nonostante tutto, come puoi, questo basta.
La seconda questione che riguarda del parlare di Gesù ai giovani, richiede innanzitutto di conoscerlo e di averlo incontrato. La prima dimensione è programmabile la seconda no in quanto non riguarda solo noi ma un cammino di incontro da fare insieme a Gesù. Occorre pertanto una duplice attenzione: da una parte occorre che l’educatore familiarizzi con la figura di Gesù, conosca la sua vita e le sue parole insieme ai gesti che le accompagnano, lo Spirito che guidava il suo agire, una conoscenza non accademica ma tale da poter essere raccontata e portata nella vita degli altri, una conoscenza non didattica e ripetitiva ma pronta a entrare in azione lì dove si apre la vita del giovane; la seconda parte della questione è assai più complicata in quanto l’incontro con Gesù prescinde dalla sola nostra volontà pur richiedendo un cammino personale e personalizzato, quando questo incontro avviene la vita cambia così tanto che essa stessa diventa capace di parlare di Dio così come avveniva con la vita di Gesù; l’incontro con Gesù pur rimanendo la meta di ogni cammino cristiano non può essere pretesa a chi accompagna mentre può essere richiesto il cammino necessario per renderlo possibile.
Sintetizzando a punti quanto emerge da quanto detto, le attenzioni da avere nell’ottica di aiutare gli educatori realizzare la propria chiamata prevedono: rendersi conto delle dinamiche umane che entrano in gioco nella relazione con un adolescente e della distanza che sempre rimane e che rappresenta un luogo da abitare e non da abbandonare, conoscere Gesù per saperlo raccontare narrandolo nella vita del ragazzo, vivere un proprio cammino di fede personale in cammino verso l’incontro con Gesù.

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