sabato 19 gennaio 2019

Omogenitorialità

Entro in punta di piedi dentro questo tema, consapevole che chi legge possa legarvi propri vissuti, non desidero essere invadente e neanche giudicante nei confronti di quanti possano sentirsi chiamati in causa. La riflessione che in questi anni sto portando avanti, il modello antropologico che ne emerge, l’incontro con tanti ragazzi e genitori, le nuove sfide che il pensiero contemporaneo accendono, l’attualità di certi interventi istituzionali: tutto questo mi accompagna nel desiderio di dare un contributo al tema in oggetto.
Credo occorra evitare le battaglie sui dati delle ricerche, con onestà occorre riconoscere che i risultati sono contradditori e discussi, mediano visioni ideologiche da entrambe le parti, tanto vale quindi portare la discussione oltre un piano solo tecnico . 
Come mi è capitato in altri mie interventi, dovendo scegliere, decido di stare dalla parte del bene dei ragazzi: è questo che mi muove. Lo dico soprattutto per quelle volte, in cui casi specifici sono stati usati per affermare un diritto individuale di qualsiasi coppia a fare da genitori, il diritto quindi ad avere un figlio. Io giro la questione: il diritto del figlio ad avere accanto figure genitoriali che lo accompagnino nel lungo cammino di crescita. Lo dico per il grande rispetto e considerazione che ho per il ruolo importante assunto dai genitori accanto a un ragazzo, con tutte le ricadute sul suo futuro. Non è possibile evitare di porsi la questione in oggetto.
Personalmente credo che il diventare padri e madri, anche adottivi o per via di mezzi surrogativi di vario genere, non sia mai un diritto da esigere, ma sempre un dono. Esso non può esaurirsi e sostenersi da solo all’interno della coppia, dovendo trovare anche fuori da sé la propria origine. Per quanto mi riguarda, come uomo di fede, esso viene sostenuto da un progetto che va oltre la persona umana, chiamando in causa Dio stesso. 
Coppie omogenitoriali posso essere bravi genitori, in ogni caso non è possibile nascondere il fatto che il loro esistere chiama in causa uno dei presupposti delle varie correnti di pensiero della psicologia clinica, ove si ritiene che lo sviluppo della personalità sia necessaria la presenza di genitori di sesso diverso.
Si aprono quindi tanti interrogativi, segno di una ricerca tutt’altro che definita, che chiama le scienze umane a continuare il proprio cammino e che permette a noi di contribuire con le nostre riflessioni.
Che influenza può avere tutto questo sul bene dei ragazzi? Ricordo che questa vuole essere la pista alla quale aggiungere miei riflessioni. Mi spiace verificare, che non esistono sufficienti prove empiriche che possano sostenere una presa di posizione basata su una pratica che non è ancora in essere, anche gli studi spesso proposti a sostegno della omogenitorialità, sono internamente alla stessa scienza soggetti a contradditorio. 
Un ragazzo si trova a crescere dentro a una coppia nella quale non è rappresentata la complementarietà di entrambi i sessi, questo credo ponga una questione riguardo al riuscire a comprendere la realtà delle proprie origini così come della propria identità futura. Si sono scritti fiumi di parole in abito pedagogico e psicologico, riguardo l’importanza (a volte a seconda dell’età) della centralità del contributo della presenza del padre (maschio) e della madre (femmina) per la maturazione di certi aspetti dell’identità del figlio; mi sembra a volte che di fronte alla questione in oggetto diventino parole dimenticate.
Credo che a un figlio in crescita, debba essere offerto, per il suo bene, la possibilità di elaborare e riconoscere le differenze che esistono nella vita e nella natura tra maschi e femmine, con accanto una bigenitorialità alla quale corrisponda la presenza di due figure differenziate sul piano dell’identità di genere, a cui corrisponda anche una specifica identità di ruolo.
Tanto è stato scritto sul ruolo del contatto tra il corpo della madre e quello del bambino, non credo che la semplice sostituzione con un corpo maschile possa colmare la cosa. Senza considerare i diversi studi che affermano come dal punto di vista dello sviluppo cognitivo ed emotivo, l’apporto che i due ruoli genitoriali danno è differente a seconda del genere di appartenenza. Non credo sia possibile scollegare la funzione materna e paterna dalla rispettiva appartenenza al genere femminile e maschile.
L’amore del genitore per un figlio è senz’altro importante, ma non è sufficiente, è la base del rapporto che però poi cresce seguendo la struttura del funzionamento della nostra mente e del nostro corpo. Per questo affermo il diritto di un ragazzo a crescere con accanto una madre e un padre. Troppe volte le circostanze della vita anche oggi non lo permettono, in seguito anche all’aumento di famiglie separate. 
Seppur consapevole che non sia detto che famiglie “tradizionali” siano sempre in grado di fornire un adeguato accompagnamento al figlio, credo che permanga ugualmente l’attenzione al suo bene, di non creare una scissione tra l’aspetto genetico-biologico e quello affettivo-relazionale.

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