lunedì 4 giugno 2018

Camminare con i giovani: la fatica ne vale la pena

Il documento preparatorio al Sinodo sui Giovani, nella sua terza parte, conclude il tutto con un capitolo dedicato all’azione pastorale che contiene indicazioni utili a trarre conseguenze concrete perché le nostre comunità siano capaci di convertirsi a modalità di maggior accoglienza nei confronti delle giovani generazioni. La domanda iniziale che ci si pone riguarda il cosa si debba intendere per la Chiesa l’accompagnare i giovani ad accogliere la chiamata alla gioia del Vangelo. 
Si tratta innanzitutto di prendere sul serio la cosa. Qualcuno potrebbe dire che si tratta di un’affermazione scontata, eppure troppo spesso mi scontro con un approccio semplicistico al mondo dei ragazzi, visti come “piccoli” dalla cui vita non c’è da imparare niente. Ascolto adulti che ridono, prendendo in giro, diversi modi di fare dei giovani, sviliscono le loro ricerche esagerate, i loro modi strani e imprevisti di affrontare le cose, che si pavoneggiano affermando sicuri: noi alla loro età non eravamo così!
Siamo di fronte alla prima conversione alla quale sono chiamate le nostre comunità: prendere sul serio la vita di tanti giovani che spesso consideriamo scomodi. Non parlo solo di quelli bravi che dicono sempre sì e girano nei nostri ambienti, ma di tutti quanti. Comprendo che non sia semplice, ma occorre farlo, prendere sul serio la vita a volta squinternata delle nuove generazioni. Anche quando passano un tempo incredibile davanti allo specchio nella ricerca di una bellezza che è molto più profonda di quanto sembra. Quando compiono gesti avventati per mettere alla prova una vita che non ancora funziona come vorrebbero. Quando esagerano o sbagliano nell’amare alla ricerca del senso di un dono profondo della vita agli altri. Quando faticano a uscire da una certa omologazione perché sentono importante l’essere accettati per quello che sono. Noi li guardiamo e non capiamo, a volto fraintendiamo, solo una corretta conversione ci metterà nelle condizioni di comprendere.
Per riuscire a farlo occorre “camminare con i giovani”, è il modo migliore per rendersi conto di come siano errati tante delle precomprensioni che abbiamo sul fenomeno giovanile. Chiede tanta umiltà, come adulti non è facile rivedere i nostri giudizi e accettare che tante volte abbiamo sbagliato, ma o si passa di qua o non si può andare avanti. Se non accogliamo, ad esempio, che hanno ritmi diversi dai nostri e quindi la smettiamo di definirli “pigri” non andremo da nessuna parte e tanto vale che ci fermiamo senza raccontarcela che volgiamo bene ai ragazzi e che sono importanti per le nostre comunità.
Se facciamo incontri alla domenica mattina alle nove a cui vogliamo che partecipino i più giovani, non lamentiamoci se poi non vengono colpevolizzandoli del fatto che il sabato sera fanno tardi e la domenica mattina è l’unico giorno alla settimana nel quale dormire un po’ di più, se lo scrivo è perché è capitato. Di queste cose ne facciamo tante, perché vogliamo loro ai nostri eventi ma poi li organizziamo secondo come piace a noi. La seconda conversione che ci viene suggerita dal documento in oggetto è di muoverci “adeguandosi ai loro tempi e ai loro ritmi”.  Anche questo è molto difficile per noi adulti, ma nuovamente se non si passa da qui non si va avanti. Occorre riprendere in mano le tante cose che facciamo e discernere se così come sono pensate rispettano o meno questo criterio; ahimè, qui lo leggiamo e ne parliamo, ma troppo presto ce ne dimentichiamo continuando a fare come sempre.
Legata alla questione delle attività che organizziamo, un terzo luogo di conversione della comunità adulta chiamata a essere accogliente, ci porta ad analizzare le montagne di parole che si spendono sul fatto che i giovani non vengono, non ci sono, non partecipano, ecc. La prospettiva cambia “incontrandoli lì dove sono”, così anche tanti dei nostri modi di gestire e organizzare le iniziative devono allinearsi ad altre istanze. Non è che i giovani non ci sono, sono da un’altra parte e se non vengono, invece di continuare a lamentarcene, parlandone tra l’altro male, diamoci una mossa e vediamo cosa cambiare. Ad esempio, a scuola e all’università ci passano veramente tanto tempo del loro periodo di crescita, noi come Chiesa dove siamo? Come si posizioniamo? Per non parlare del mondo dello sport e dell’associazionismo che vede permanere grandi quantità di giovani e ragazzi. Ma sembra che noi per queste cose non abbiamo tempo perché dobbiamo curare già le altre cose che facciamo, strutture ed eventi che però stanno diventato sempre più incapaci di intersecare il vissuto di coloro per i quali sono stati pensati. Anche perché a volte “per arrivarci è necessario un cammino che passa a volte anche attraverso strade imprevedibili e lontane dai luoghi abituali delle comunità ecclesiali”.
Una quarta conversione è la pazienza, anzi l’empatia che non vedo sempre negli adulti a volte incapaci di sentire vere e non come delle storie da poco le “loro fatiche a decifrare la realtà in cui vivono”. A noi le cose possono sembrare semplici perché ci siamo già passati elaborando una nostra risposta, ma ci dimentichiamo che loro ci sono ancora in mezzo e che quanto vivono è tutt’altro che secondario per l’uomo e la donna che saranno domani. Vocazione, scegliere, senso, vita, gioia, sofferenza, insieme a tante altre cose, sono tutte istante in agitazione e ricerca. Noi adulti le sentiamo? Riusciamo a percepire tutto il movimento e la ricerca a volte silenziosa o troppo rumorosa che percorre l’esistenza dei giovani? Nuovamente, o si passa di qua, in questa faticosa empatia fatta di ascolto profondo, o non si va avanti, “è imparare lo stile di Gesù, che passa nei luoghi della vita quotidiana, si ferma senza fretta e, guardando i fratelli con misericordia, li conduce all’incontro con Dio Padre”.
Quattro conversioni che chiedono fatica e tempo da dedicarvi, ma ne vale la pena perché “camminando con i giovani si edifica l’intera comunità cristiana”.

Nessun commento:

Posta un commento