Il termine “educazione”, nel suo significato letterale,
significa “tirar fuori”, si riferisce all’impegno esercitato per aiutare un
ragazzo a crescere facendo fiorire le enormi capacità che si porta dentro, come
protagonista di questo processo. A essa si affianca un altro processo, molto
più diffuso ai giorni nostri, quello dell’istruzione, che mira invece a
“riempire” di nozioni o contenuti un giovane, un qualcosa quindi che avviene
dall’esterno della vita, normalmente standardizzato secondo modelli prestabiliti.
Dal confronto di questi due processi, non sempre
conciliabili fra loro, nasce il perfezionarsi di un nuovo approccio per quanti
si affiancano al cammino di crescita degli adolescenti: l’autoeducazione. Essa
fa forza sulla capacità del singolo, di attivare energie capaci di nutrire il
percorso evolutivo, per questo si concentra nel riuscire a far nascere nel
ragazzo il desiderio e l’impegno di imparare da sé, chiaramente affiancato in
quest’opera da chi più adulto, ha ben in testa le coordinate principali di
riferimento, nonché i contenuti che di volta in volta saranno necessari per
colmare quanto la vita ancora non è riuscita a dare.
Il saper proporre quanto piace ai ragazzi, mi fa venire in
mente quando da piccolo andavo con mio padre a pescare. Prima di partire, a
seconda del posto e dei pesci che avremmo trovato, ci procuravamo le esche
giuste. Una volta arrivati sul posto, il lavoro non era finito, insieme a usare
il cibo preferito dal pesce che si voleva catturare, c’era da studiare
l’ambiente nel quale ci si trovava, scegliere amo e lenza e comunque tanta
pazienza. Mi sembra che la parabola del pescatore, possa essere molto adeguata
a spiegare come il ruolo dell’educatore debba orientarsi.
Così, il responsabile del cammino educativo, non è innanzitutto
l’adulto, ma il ragazzo stesso. Il coraggio di accettare questo nuovo modello,
ci viene dalla fiducia che un giovane può imparare da sé, così che quanto
appreso abbia una maggiore capacità di aiutarlo nella vita, più che non le cose
imparate perché dette da altri.
Percorrere questa strada, è sicuramente scegliere quella più
faticosa, ogni ragazzo sarà chiamato a imparare a fare da solo. Questo sapersi
arrangiare vuole coinvolgere non solo l’intelletto, ma tutta la volontà in
questo cammino di vita. Diventa pertanto un impegno anche per chi a loro si
affianca, dando attività vicine ai loro interessi, linguaggi e passioni.
Le attenzioni appena delineate, sono alla base per modello
educativo dello scoutismo, così come fu pensato fin dall’inizio dal suo
fondatore: Baden Powell. A tal fine il
sistema migliore è di far sì che i ragazzi imparino da soli; dando loro
attività che li interessino, anziché inculcare loro nozioni sotto forma di
arida e scheletrica istruzione[1]. Egli vuole fare le cose, perciò incoraggiamolo a farle nella giusta
direzione e lasciamogliele fare a modo suo. Lasciamogli fare i suoi sbagli: è
attraverso di essi che egli si fa un’esperienza[2].
Chiaramente il processo di autoeducazione non può procedere
selvaggiamente in modo meccanico, chiede un accompagnamento da parte di colui,
che conoscendo bene i contenuti della personalità, sa che non c’è solo del bene
dentro il ragazzo, per questo vigila, ma non impaurito e preoccupato dei
disastri che possa fare, piuttosto impegnato a far sì che emerga quella parte
buona che c’è dentro ciascuno. In alcuni momenti questo chiede di avere molta
fiducia, capita che le potenzialità dei ragazzi siano nascoste dietro
atteggiamenti o modi di fare urtanti. Occorre pertanto non fermarsi alla
superficie, ma scavare, chiedendo anche al ragazzo cosa cerca e desidera o vede
meglio per sé. Grazie a quest’ascolto profondo, chi è di fronte saprà che
t’interessi a lui, questo apre molte porte.
Quanto fin qua detto, trova sinteticamente la sua espressione
all’interno di uno dei documenti fondanti dello scoutismo cattolico. Il ragazzo è protagonista, anche se non
l’unico responsabile, della propria crescita, secondo la sua maturazione
psicologica e la sua età. Il Capo, con intenzionalità educativa, fornisce mezzi
e occasioni di scelta in un clima di reciproca fiducia e di serena
testimonianza che evita ogni imposizione[3].
Si tratta quindi di una grande fiducia sulla vita di ogni
ragazzo: fidarsi che lui sappia riconoscere il bene e sceglierlo. Noi siamo
disposti a questa scommessa?
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