domenica 9 luglio 2017

Solidali nel faticare insieme

Nuovamente qua, reduce da incontri e verifiche fatte con genitori ed educatori parlando di ragazzi che non vengono, o lo fanno in modo altalenante, che ci mettono alla prova rovinando i nostri piani, ai quali non va bene mai quello che gli proponiamo. Ho cercato di sostenere questi giovani e adulti nel loro impegno accanto ai ragazzi, condividendo con loro le fatiche del servizio generoso accanto agli adolescenti. Come fatto già in passato nuovamente qua per rendere ragione anche di quanto brucia nella vita dei ragazzi, per aiutare tutti a uno slancio di empatia per le fatiche che anch’essi vivono in questo periodo di vita. Chissà se il sapere di faticare insieme, ognuno con la “propria croce”, potrà essere di aiuto a sentirsi maggiormente solidali gli uni nei confronti degli altri.
Raggiunta l’adolescenza nasce un non so che di contrapposizione, quasi a partito preso per il mondo che fino lì ci ha accompagnato (infanzia) e quello che si prepara (età adulta), ma visto che al momento non si vive né nell’uno né nell’altro se ne costruisce uno nuovo fatto di spazi privati ritagliati in ambienti nuovi nonché in quelli classici che continuano a riempire le giornate. A casa si chiude la porta della camera, a scuola ci si trova in bagno o in un angolo che sia sempre lo stesso, in oratorio si vive sui gradini o sul muretto, nelle uscite con gli amici si frequenta un certo parchetto o un punto preciso della solita piazzetta. Noi con insistenza continuiamo a cercare di convincerli a entrare perché abbiamo tante cose da offrire loro, dentro tutto è pronto, loro ci guardano e più o meno gentilmente sorvolano affermando che è fuori il loro luogo di vita e di incontro. A volte sembrano cedere alle nostre richieste, ma probabilmente è perché fuori piove o fa troppo freddo, oppure capita in qualche occasione particolare possibilmente con cibo e musica, ma anche in questi casi dipende sempre dal chi ci sia, perché non ancora con l’altro o altri gruppi si è disposti a condividere la vita.
Quando tutte queste cose nuove accadono, così da destabilizzare i progetti di noi adulti, ci sarebbe da fare una festa, il nostro ragazzo non è più un bambino, è diventato un adolescente. Troppo spesso invece incontro musi lunghi e volti tristi, capisco e sperimento anch’io la fatica che come educatori facciamo, ma vedo anche la bellezza di una vita che fiorisce anche se questo deve passare attraverso la fatica di una nuova nascita e il dolore di un inconsueto parto.
Mi sembra di assistere al miracolo al quale misteriosamente partecipiamo guardando ai nostri campi. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna (Gv 12,24-25). Arriva a una certa età il desiderio di prepararsi per portare frutto, non si basta più a se stessi, o si accetta vivendolo il lutto e la fatica di una età che muore per aprirsi a un’altra, oppure si rimane soli e questa è una cosa della quale i nostri ragazzi hanno molta paura. Ne hanno così tanta che preferiscono inoltrarsi in questo passaggio stretto rischiando il necessario così da portare frutto ognuno secondo la propria capacità. Passano attraverso il perdere, l’odiare quanto era prima, così da prepararsi ad amare nuovamente e veramente.
Ma la festa non è sempre facile da fare, come adulti rimaniamo spesso inermi spettatori della crisi dei tanti luoghi che abbiamo pensato e preparato per loro, sia ludici che formativi; sembra che siano capaci di annusare che ci sia come un modo di agire e far proposte che un po’ “puzza”, così si ingegnano e fanno per conto proprio insieme ai propri coetanei, preferendo nuovi luoghi informali senza la presenza di adulti. Possono farlo tranquillamente, sono più autonomi, hanno in tasca più soldi, si dilatano gli orari di uscita così come la fiducia concessa dai genitori, riescono a raggiungere luoghi e spazi fino ad ora inimmaginabili. È così che dalla casa ci si apre alla città, a volte al grande centro commerciale, del resto lì c’è tutto quello che serve: temperatura controllata, musica, cibo, vetrine, amici e uno spazio da vivere.
Credo che questi nuovi spazi, trovati o costruiti dai nostri ragazzi, meritino di essere abitati da figure adulte che possano diventare di riferimento, ci vedo una possibilità di impegno per chi condivide privatamente o pubblicamente il servizio accanto alla crescita dei ragazzi. Credo anche che come Chiesa dovremmo interrogarci se e come rendere possibile questo cambiamento di strategia che ci porti a vivere con umiltà gli spazi dei nostri giovani.
Insieme a tanti altri che lavorano con gli adolescenti, sono concorde e consapevole che ci sia ancora posto per adulti autorevoli e significativi, che siano addirittura ricercati dai più giovani soprattutto da quanti sono cresciuti come “nuovi orfani” della nostra società. Certo non basta lo stato di adulto a spalancare le porte, occorre esserlo sapendo dimostrare di avere le competenze per aiutare nel cammino di crescita che i ragazzi stanno portando avanti, infatti essi stessi ne sperimentano la fatica e cercano aiuto, anche se non sanno di specifico di cosa hanno bisogno. Occorre quindi non solo essere attenti, ma curiosi e affamati di comprendere e aiutarci a interpretare in modo corretto le istanze dell’adolescenza.
Credo che se le nostre aspettative saranno coerenti e le domande vicine al vissuto, se sapremo dimostrare rispetto per la ricerca sia nei modi che nei tempi loro e non nostri, se riusciremo a farlo gratuitamente senza secondi fini per portarli da una parte o dall’altra ma animati dall’amore per la vita che fiorisce, credo che i ragazzi ci apriranno quanto finora hanno chiuso lasciandoci fuori. È qua che l’incontro può avvenirne, tra generazioni diverse e con Dio.


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