L’altro giorno parlavo con un educatore che aveva
partecipato a un incontro con uno psicologo in gamba, riferendomi parzialmente
quanto era stato detto sottolineò una cosa che gli era rimasta particolarmente impressa.
Parlando delle famiglie, dell’attuale crisi, delle conseguenze che questa
porta, lo specialista evidenziò una assenza di quell’humus necessario perché
certe dinamiche, valori, logiche possano crescere all’interno della famiglia. Posso
trovarmi d’accordo con lui, ci sono stati grossi cambiamenti e la crisi della
realtà sociale e religiosa della famiglia ha influito molto su tutto quello che
le gira intorno.
Quello su cui non sono d’accordo sono le conclusioni e gli
allargamenti fatti in seguito a questo dall’educatore mia controparte nel
confronto. Occorre tenere presente che la psicologia e le scienze umane in
generale fanno il loro lavoro tante volte bene, proprio per questo spesso
rispettano gli ambiti di loro competenza che non riguardano il trascendente e
alcuni aspetti della persona che per noi cristiani esulano da una
partecipazione solo umana alla vita; queste scienze hanno ben in mente che non
si può fare solo di una parte il tutto.
Chiunque decide di affrontare le questioni educative da una
prospettiva cristiana deve sicuramente chiedere aiuto a tutte le scienze
sociali, senza però dimenticarsi che c’è una presenza determinante nella vita
della persona che è quella della Grazia che non è possibile trascurare,
presenza attraverso la quale in ciascuno di noi può agire il migliore
pedagogista e padre che esiste al mondo: Dio.
Questo educatore con il quale mi stavo confrontando era
giustamente amareggiato per la situazione di crisi che tanto forte si sta
facendo sentire, il suo errore è stato però di non passare a una sufficiente
speranze nella Grazia che gli desse il coraggio per andare avanti. Il vivere il
proprio essere educatore nella certezza che anche di fronte alla crisi,
all’insuccesso, noi non siamo soli e neanche l’altro lo è; c’è Dio che abita
l’uomo, che è in cerca di lui, lo conosce per nome, lo guida, lo attende, lo
cerca…
Un educatore o trova la propria forza nella speranza della
Grazia, oppure è troppo forte il rischio di essere in balia dei risultati
attesi e di un bilancio fatto alla luce solo dei propri successi, è uno sguardo
troppo piccolo per noi cristiani per valutare il cammino di una persona e
l’apporto della nostra opera.
Questo aspetto mi accorgo di darlo troppo per scontato, in
effetti nella teoria ci può trovare tutti d’accordo, ma è poi nella resa dei
conti difficile della vita che se ne verifica la veridicità; è la fonte della
gioia che mi fa andare avanti nonostante le fatiche e fallimenti umani, eppure
mi capita ogni tanto di vederla venire a meno dalla vita dei tanti educatori
che incontro ogni giorno. Me ne stupisco, perché al contrario, proprio il
contatto quotidiano con gli adolescenti mi fa toccare con mano la presenza
reale in loro di questa Grazia che opera ben al di là di me e di quello che
posso fare, diventa per me una vocazione bellissima poter essere a servizio e
alleato di questa forza divino che opera dentro di loro.
Io infatti sono il più
piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho
perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e
la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non
io però, ma la grazia di Dio che è con me. (1Cor 15,9-10). Paolo ci ricorda
che la Grazia non è vana nonostante possiamo vivere momenti di lontananza,
chiusura e difficoltà, ci dice chiaramente che essa opera.
Mi aiuta sempre ricordarmi che nel nostro impegno siamo
servi e non padroni, e che alla fine di tutto non diventiamo padri ma servi
inutili perché il vero Padre di quest’opera è Dio. Questa presenza non diventa
per me fonte di disimpegno, ma forza per capire qual è il mio ruolo e metterci
il massimo.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: "Vieni subito e mettiti a tavola"? Non gli dirà piuttosto: "Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu"? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc 17,7-10). Torno sempre volentieri alle parole dell’evangelista Luca; anche se possono sembrare forti e urtare, credo siano di aiuto per riscoprire l’umiltà richiesta ad ogni educatore nello svolgimento del proprio compito.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: "Vieni subito e mettiti a tavola"? Non gli dirà piuttosto: "Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu"? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc 17,7-10). Torno sempre volentieri alle parole dell’evangelista Luca; anche se possono sembrare forti e urtare, credo siano di aiuto per riscoprire l’umiltà richiesta ad ogni educatore nello svolgimento del proprio compito.
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