domenica 11 maggio 2014

Senza perdere la speranza nella grazia

L’altro giorno parlavo con un educatore che aveva partecipato a un incontro con uno psicologo in gamba, riferendomi parzialmente quanto era stato detto sottolineò una cosa che gli era rimasta particolarmente impressa. Parlando delle famiglie, dell’attuale crisi, delle conseguenze che questa porta, lo specialista evidenziò una assenza di quell’humus necessario perché certe dinamiche, valori, logiche possano crescere all’interno della famiglia. Posso trovarmi d’accordo con lui, ci sono stati grossi cambiamenti e la crisi della realtà sociale e religiosa della famiglia ha influito molto su tutto quello che le gira intorno.
Quello su cui non sono d’accordo sono le conclusioni e gli allargamenti fatti in seguito a questo dall’educatore mia controparte nel confronto. Occorre tenere presente che la psicologia e le scienze umane in generale fanno il loro lavoro tante volte bene, proprio per questo spesso rispettano gli ambiti di loro competenza che non riguardano il trascendente e alcuni aspetti della persona che per noi cristiani esulano da una partecipazione solo umana alla vita; queste scienze hanno ben in mente che non si può fare solo di una parte il tutto.
Chiunque decide di affrontare le questioni educative da una prospettiva cristiana deve sicuramente chiedere aiuto a tutte le scienze sociali, senza però dimenticarsi che c’è una presenza determinante nella vita della persona che è quella della Grazia che non è possibile trascurare, presenza attraverso la quale in ciascuno di noi può agire il migliore pedagogista e padre che esiste al mondo: Dio.
Questo educatore con il quale mi stavo confrontando era giustamente amareggiato per la situazione di crisi che tanto forte si sta facendo sentire, il suo errore è stato però di non passare a una sufficiente speranze nella Grazia che gli desse il coraggio per andare avanti. Il vivere il proprio essere educatore nella certezza che anche di fronte alla crisi, all’insuccesso, noi non siamo soli e neanche l’altro lo è; c’è Dio che abita l’uomo, che è in cerca di lui, lo conosce per nome, lo guida, lo attende, lo cerca…
Un educatore o trova la propria forza nella speranza della Grazia, oppure è troppo forte il rischio di essere in balia dei risultati attesi e di un bilancio fatto alla luce solo dei propri successi, è uno sguardo troppo piccolo per noi cristiani per valutare il cammino di una persona e l’apporto della nostra opera.
Questo aspetto mi accorgo di darlo troppo per scontato, in effetti nella teoria ci può trovare tutti d’accordo, ma è poi nella resa dei conti difficile della vita che se ne verifica la veridicità; è la fonte della gioia che mi fa andare avanti nonostante le fatiche e fallimenti umani, eppure mi capita ogni tanto di vederla venire a meno dalla vita dei tanti educatori che incontro ogni giorno. Me ne stupisco, perché al contrario, proprio il contatto quotidiano con gli adolescenti mi fa toccare con mano la presenza reale in loro di questa Grazia che opera ben al di là di me e di quello che posso fare, diventa per me una vocazione bellissima poter essere a servizio e alleato di questa forza divino che opera dentro di loro.
Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. (1Cor 15,9-10). Paolo ci ricorda che la Grazia non è vana nonostante possiamo vivere momenti di lontananza, chiusura e difficoltà, ci dice chiaramente che essa opera.
Mi aiuta sempre ricordarmi che nel nostro impegno siamo servi e non padroni, e che alla fine di tutto non diventiamo padri ma servi inutili perché il vero Padre di quest’opera è Dio. Questa presenza non diventa per me fonte di disimpegno, ma forza per capire qual è il mio ruolo e metterci il massimo.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: "Vieni subito e mettiti a tavola"? Non gli dirà piuttosto: "Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu"? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc 17,7-10). Torno sempre volentieri alle parole dell’evangelista Luca; anche se possono sembrare forti e urtare, credo siano di aiuto per riscoprire l’umiltà richiesta ad ogni educatore nello svolgimento del proprio compito.

Nessun commento:

Posta un commento