C’è una parabola di Gesù nel Vangelo di Marco che credo sia
solidale e faccia bene ai tanti impegnati in attività educative con i ragazzi.
In quel tempo, Gesù
diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno;
dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli
stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la
spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito
egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura» (Mc4,26-29).
Mi capita spesso di incontrare persone che si lamentano dei
figli, o dei ragazzi in generale, perché non vedono in loro i risultati che
tanto impegno e preparazione degli adulti hanno cercato di procurare. Si
chiedono dove hanno sbagliato, a volte si sentono colpevoli, altre volte danno
la colpa ad altri. C’è involontariamente il rischio di considerare il frutto
come qualcosa di automatico. Ahimè spesso non è così; capita quindi di andare
in crisi, o prendersela con gli adolescenti oppure abbandonare tutto. Il seme
piantato può essere il migliore al mondo e piantato in modo tecnicamente
corretto, ma questo non porta in automatico che cresca da per sé; lo fa se trova
terra buona, però non sempre la vita, l’umanità che ci troviamo tra le mani rispecchia
l’ideale prefissatoci concedendo il nutrimento necessario.