Credo che quando si parla di questi argomenti sia importante
ricordarsi che la lingua italiano ha un vocabolario che ci permette di parlare
in modo sereno e normale di queste cose. Mi stupisce sempre vedere come la
parola caz.. (finitela voi) sia ampiamente usata, se invece durante una
discussione riguardo a queste tematiche uso la parola “pene” nasce un non so
che di senso di vergogna; la volgarità ha portato troppo spesso a far sì che si
faccia fatica a parlare in modo corretto, con termini che esistono, di un
argomento che di per sé è il più naturale e vicino a tutti noi. Occorre partire
da una riabilitazione linguistica per capire che si può parlare di certe cose
in modo serio e bello, che si può parlare di vagina, eiaculazione, clitoride,
orgasmo, masturbazione, rapporto sessuale, erezione, contraccezione, e via così
sempre per questo dover passare tutti i coli dell’arcobaleno o ridacchiarci
sopra.
… qualche scarabocchio per cercare di interpretare gli enigmi degli adolescenti, per dare un senso a comportamenti apparentemente insensati, con una forte volontà di cercare di capire
mercoledì 27 novembre 2013
lunedì 25 novembre 2013
Ripensare i luoghi ecclesiali - sintesi
SINTESI IN POCHE RIGHE DELLE TRE PARTI PUBBLICATE
È una riflessione a voce alta messa per iscritto al fine di dare
maggiore concretezza alla necessità di interrogarci come Chiesa quali scelte
pastorali di impegno fare e quali criteri di discernimento delle attività
adottare
Vita quotidiana e strutture devono tornare ad incontrarsi, da qui la
necessità del ripensarsi.
Di fronte a tante domande non c’è un’unica risposta, da qui la
necessità di darsi insieme dei criteri, che siano il più evangelici possibile,
e degli orientamenti anche perché la diversità del territorio e delle
esperienze chiederà sempre di affidare il tutto a quanti poi sono in prima
linea.
Mettere al centro il principio del come fare e non tanto la messa in
discussione dei principi che ci guidano.
domenica 24 novembre 2013
Ripensare i luoghi ecclesiali - parte 3
Rinnovare la celebrazione della salvezza
Mi capita spesso per via del mio ministero di passare in modo
consecutivo da oratorio a messa o viceversa, chiaramente sono luoghi diversi e
con funzioni diverse, ma ugualmente mi viene da porre una riflessione riguardo
all’eccessiva distanza che rischia di crearsi tra la celebrazione della
salvezza durante la liturgia e la vita vera.
Chiedo di portare pazienza nei miei confronti, non è mia intenzione
ironizzare sulla messa che rimane un incontro privilegiato con il Signore fatto
di riti e linguaggi che abbiamo ricevuto dai nostri padri e che abbiamo anche
il compito di custodire, celebrare e tramandare; ugualmente però pongo il
problema che ormai, almeno per il mondo giovanile, è sotto gli occhi di tutti e
diventa ancora più chiaro quando se ne parla in modo sereno e libero con i
ragazzi.
Ripensare i luoghi ecclesiali - parte 2
Cosa si potrebbe provare a fare
1.
Quando si progetta e si decide sul cosa fare e
cosa scegliere non guardare solo a casa propria, alla proprie logiche e
necessità pastorali, ma partire andando incontro ai luoghi della vita ordinaria
raccogliendone le sfide: ad esempio il problema dei giovani non nasce dal
fatto, come dicono molti, che non vengono più a messa o in oratorio (questa è
una prospettiva sviante), la questione giovanile nasce perché la loro felicità,
il loro cammino di maturità è messo in pericolo, perché sono ragazzi tristi che
perdono la speranza. Voglio dire che si parte dalla gente e dai problemi della
gente e non dai problemi nostri troppe volte arroccati nel difende o riproporre
modelli che ormai sono lontani. A parlare con i preti spesso si sente che i
problemi sono: non si viene più a messa, non ci si sposa in chiesa, i funerali
civili sono in aumento, nessuno si confessa, i genitori non portano i figli al
catechismo, … ma questi sono i falsi problemi in quanto sono conseguenze dei
problemi veri che sono altri, come Chiesa dobbiamo riformare le nostre strutture
perché siano capaci di mettere al centro i problemi veri non quelli falsi: la
questione non è che le famiglie non si sposano più in chiesa, è che le famiglie
sono incasinate come non mai, ma non si risolve il problema facendo il corso
obbligatorio prematrimoniale. Una analisi del genere andrebbe applicata negli
esempi concreti di tutti i settori della vita di fede.
venerdì 22 novembre 2013
Ripensare i luoghi ecclesiali - parte 1
Premessa
Comincio una riflessione che sarà divisa in 3 o 4 parti; tutto nasce da una domanda intima nata in questi primi
anni di ministero accanto ai giovani vivendo negli oratori e a servizio di
parrocchie medio-grandi. Domanda che non ho tenuto solo per me ma che più volte
con insistenza ho condiviso con altri preti e pubblicamente a tutti, ossia la
necessità di maturare criteri di discernimento per mettere mano alla nostra
realtà ecclesiale ricca di iniziative e opere delle quali però fatica ormai a
farsi carico, il tutto alla luce anche della ridefinizione delle nostre
comunità considerando il calo delle vocazioni e di una diversa composizione
della parrocchia rispetto al passato. Cosa lasciare? Cosa tenere? A chi dire
no? … e tante altre potrebbero essere le domande concrete da portare in
superficie.
Per tanto tempo ho semplicemente riproposto in vari luoghi questa mia
domanda consapevole di non avere una soluzione in tasca; ora nonostante mi
trovi nella stessa situazione mi rendo conto che sia opportuno almeno
avventurarsi nel buttare giù qualche linea di proposta. Mi rendo conto di
essere ancora molto giovane e con poca esperienza, di non conoscere se non un
pezzettino della nostra diocesi e di non essere mai stato parroco; per questo
un po’ mi spaventa l’avventurarmi in questa impresa, così ho deciso di far
partire la mia riflessione dall’ambito a me più familiare, ossia quello della
pastorale giovanile, centrando il discorso su questo che è solo un aspetto
della vita delle nostre comunità e vedendo se poi da qua riuscirà ad emergere
qualcosa che possa andare bene anche per altri aspetti.
Come vedete dal titolo il tutto al fine di ripensare i luoghi
ecclesiali. Prendete il tutto solo come una riflessione a voce alta messa per
iscritto, non c’è la preoccupazione di essere completo e forse correndo il
rischio che a volte il tutto sia buttato un po’ lì.
martedì 19 novembre 2013
Giovani e fede - Prof. Alessandro Castegnaro
Alcuni spunti interessanti ripresi da un convegno
organizzato dalla pastorale giovanile diocesana.
Occorre ritrovare l’equilibrio ed essere
consapevoli che la realtà della situazione giovanile in Italia non è quella
rappresentata dai raduni di massa tipo GMG, questo non vuol dire che sia come
descritto da una visione pessimista che si sta diffondendo anche in ambito
ecclesiale riguardo una generazione ritenuta incredula; rimanendo consapevoli
della situazione, occorre però recuperare quello sguardo ottimista che dovrebbe
essere proprio di ogni cristiano che sa di non essere sole ad affrontare le
situazioni contingenti, che sa di essere chiamato a vivere anche di speranza…
occorre saper puntare sul potenziale che ancora esiste nei giovani.
Se da un lato assistiamo ad un allontanamento dalla
Chiesa, dall’altro regge il radicamento alla fede, certo tutto da verificare,
forse imperfetto qualche volta deviante, ma rimane; c’è qualcosa su cui
lavorare, questo è da tenere presente per evitare un approccio troppo spesso
moralistico che vede nei giovani dei contenitori vuoti da dover riempiere,
mentre la prospettiva giusta è quella dell’educazione, del tirare fuori, del
fare emergere.
domenica 17 novembre 2013
La fede non “serve” a niente!
Chiaramente una provocazione, ma che ci aiuta a entrare in una nuovo
ottica. Spesso mi capita prima o dopo un incontro di essere avvicinato da
qualche ragazzo che più o meno provocatoriamente mi chiede cosa serve tutto
quello che diciamo e facciamo, cosa serve andare a Messa, agli incontri, alla
Casa di Carità, e così’ via…
Bene se anche voi ve lo siete mai chiesto vi dico che non serve a
niente!
No non sono impazzito, occorre entrare nell’ottica che la fede non
serve a niente perché siamo noi a servizio suo e non viceversa; capita invece
troppe volte che noi, anche come Chiesa, usiamo la fede per fare o chiedere
delle cose uscendo così dalla logica giusta che ci chiede di servirla non di
servircene per altri scopi.
venerdì 15 novembre 2013
Parlare di Dio? Non come ma perché!
Nella mia esperienza di prete mi capta spesso di incontrare educatori
che vengono da me sperando di trovare una qualche formula magica su come
riuscire a parlare oggi di Dio ai giovani; chiaramente li deludo in quanto non
ho una risposta, tanto più che non credo ne esista una unica: i tempi cambiano,
le persone pure, per non dire i luoghi… insomma non possiamo arrenderci e
dobbiamo provarci, ma ogni risposta sarà provvisoria .
Visto che i “come” parlare di Dio sono tanti, un buon punto di partenza
che potrebbe trovarci uniti insieme nella ricerca indipendentemente dai luoghi
e tempi che abitiamo, è chiederci il “perché” parlare di Dio, una questione
tanto scontata quanto lascia a bocca aperta e senza parole quando viene fatta;
prima di affrontare il “perché” credo sia importante anche dirsi “cosa è” per
noi parlare di Dio, cioè svelare il pensiero di riferimento (pedagogia) che ci
guida nelle nostre proposte, questo anche per evitare il disorientamento nei
più giovani che rischiano di trovarsi destinatari di una cerca confusione
pastorale in questo.
giovedì 14 novembre 2013
È la comunità intera chiamata in ballo
Perché i giovani lasciano la
Chiesa? Onestamente non è una domanda che ritengo così centrale anzi penso sia una
questione deviante nel senso che ci porta fuori strada; personalmente la
sostituirei invece con una esclamazione di stupore: “che bello, ci sono ancora
giovani che scelgono Dio e la Chiesa!”, mi sembra una prospettiva migliore per
affrontare la questione e non solo, come potrebbe ritenere qualcuno, un
semplice gioco di parole.
A chi viene da me lamentandosi dell’abbandono che segue alla cresima,
del fatto che la frequenza cala di oltre la metà, dico la mia e lo invito a
contattare chiunque si intenda di psicologia dello sviluppo, così potrà essere
informato che la presa di distanza in ambito adolescenziale rispetto a quanto
richiama al periodo dell’infanzia è un fenomeno normalissimo e i nostri cammini
parrocchiali non posso semplicemente bypassare questa istanza legata a un
periodo concreto della fase del cammino di maturità; inoltre se tanti prendono
il volo, e dovrebbe essere nostro compito chiederci come offrire un riaggancio,
rimane il fatto che capita anche che tanti restino nei nostri ambienti
parrocchiali, per me questo è qualcosa di cui ringraziare e anche una energia
forte per le nostre comunità su cui puntare.
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